Il cibo come diritto. E il dovere di non sprecarlo – Intervista a Lorenzo Bairati

Il piatto piange. Perché per qualcuno è ancora vuoto di cibo e di diritti. Tra questi, proprio il diritto al cibo, che per circa un miliardo di persone ancora non è garantito. Eppure gli esperti ci dicono che si produce più di quanto servirebbe per sfamare l’intera popolazione mondiale. E che c’è chi ne ha talmente tanto che lo spreca senza pensarci su due volte, tanto che 1/3 di tutta la produzione mondiale di cibo destinata al consumo umano viene gettata via ogni anno. E allora? Allora ci sarebbero un po’ di cose da rivedere per riequilibrare i piatti, cercando di correggere logiche produttive e distributive a livello globale e ripensando modelli di consumo e comportamenti quotidiani sul piano individuale. Ne parliamo con Lorenzo Bairati, docente di diritto degli alimenti all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Che cosa si intende innanzitutto per diritto al cibo?
Il diritto al cibo è un’invenzione relativamente recente. È collegato al diritto all’esistenza, ed è stato elaborato man mano che il principio di solidarietà ha influenzato la costruzione teorica dei diritti fondamentali.

Il diritto al cibo, inteso come diritto all’accesso al cibo, è stato interpretato in un primo momento come una conseguenza del dovere morale degli Stati ricchi di esprimere una forma di sostegno e solidarietà nei confronti dei poveri. In un secondo tempo non è stato più inteso come puramente collegato alla benevolenza altrui, grazie al lungo cammino che inizia con la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite (1948) e giunge alle Costituzioni contemporanee, fra cui spiccano quelle di Brasile, India e Sudafrica, che hanno riconosciuto il diritto al cibo come diritto fondamentale della persona.

In altri termini si tratta del prodotto giuridico di un movimento volto ad assicurare la food security, sicurezza alimentare nel senso di accesso fisico, sociale ed economico a un cibo sufficiente, sano e nutriente, in grado di soddisfare i bisogni e le preferenze alimentari necessari per una vita sana e attiva. Il riconoscimento del diritto al cibo in Costituzione è stato accompagnato dall’approvazione di misure concrete, quali il programma Fom Zero approvato in Brasile nel 2003 e il National Food Security Act indiano approvato nel settembre 2013. Per ora si tratta di provvedimenti episodici e perfettibili, ma testimoniano che si è messo in moto un fenomeno che va nella direzione di estendere e perfezionare la tutela dei diritti fondamentali considerati nella loro materialità.

Ci spiega invece la differenza con i concetti di ‘food safety’ e ‘food sovereignty’?
Complementari alla food security sono la food safety e la food sovereignty, la prima intesa come salubrità degli alimenti rispetto ad agenti contaminanti (quest’ultima è regolata a livello europeo dal regolamento 178/2002), la seconda come il diritto dei popoli al controllo dei loro sistemi alimentari. Si tratta dei tre elementi su cui si fonda l’alternativa al modello dominante per ciò che riguarda agricoltura e commercio.

Come definirebbe il concetto di spreco alimentare?
Dal mio punto di vista lo spreco alimentare è ogni forma di distorsione che ostacola il pieno raggiungimento del diritto al cibo, inteso come nutrimento per il corpo e la libertà della persona. Lo spreco alimentare non è solo un minus rispetto a un criterio quantitativo, ma incide negativamente sulla dignità, sul rispetto della diversità culturale, sullo sviluppo della personalità, sulla salute e l’integrità della persona. Non solo dei soggetti a cui non è assicurata la libertà dalla fame, ma di tutti i cittadini, anche dei produttori, e in generale di tutti i soggetti titolari di quei diritti e principi che nel cibo trovano un punto di convergenza.

A livello europeo si potrebbe pensare a un uso delle etichettature che riduca lo spreco alimentare?
Per quanto riguarda l’utilizzo dell’etichetta in rapporto alla riduzione degli sprechi, c’è ancora molta strada da fare. La comunità scientifica e la platea degli operatori del settore è molto attiva e propositiva, sia per quanto riguarda la riduzione degli sprechi attraverso l’utilizzo di uno schema sempre più circolare delle risorse utilizzate per la produzione di alimenti, sia per quanto riguarda le indicazioni in etichetta.

A questo proposito, sono allo studio diverse proposte per superare l’attuale sistema di indicazione della scadenza e l’ambigua distinzione fra l’indicazione della scadenza e la dicitura “da consumare preferibilmente entro”. È ben nota la tendenza, da parte di molti produttori, ad anticipare la data di scadenza sia per indurre ad un acquisto quantitativamente maggiore, sia per mettersi al riparo dalla responsabilità per danni derivanti da eventuali alterazioni del prodotto. Si tratta di un atteggiamento miope, che sovrastima gli effetti a breve termine ma perde di vista gli effetti di lungo periodo, devastanti sotto il profilo sia economico sia ambientale.

Diritto al cibo e dovere di non sprecarlo: come commentare?
Il diritto al cibo e il dovere di non sprecarlo hanno una connessione strettissima. Il diritto al cibo è infatti sempre accompagnato dalla constatazione che la fame nel mondo non è determinata dalla scarsità delle risorse disponibili ma dal modo in cui esse vengono prodotte e distribuite. In questo senso il diritto al cibo ha una natura essenzialmente politica, sia per il suo contenuto complesso, sia perché chiama in causa le scelte individuali. Il dovere di non sprecare riguarda in primo luogo la fase della produzione e coinvolge una dimensione collettiva, incentrata sul rapporto fra diritto al cibo e logica economica. D’altra parte, chiama in causa ognuno di noi, al momento delle scelte di consumo. Lo spreco non è soltanto il cibo comprato e buttato nel cestino, ma è anche il prodotto della dinamica a noi invisibile che si mette in moto quando, per esempio, al mercato scegliamo la frutta secondo criteri puramente estetici.