CIWF, missione benessere animale negli allevamenti intensivi

Lo pensava già Gandhi, più di mezzo secolo fa: “Si può giudicare la grandezza di una nazione dal modo in cui vengono trattati gli animali”. Se così è, abbiamo ben poco di cui essere fieri. Allevamenti intensivi sovraffollati, in cui si praticano mutilazioni di routine, gli animali sono rimpinzati di antibiotici e vivono stipati in gabbie minuscole. A parlarcene è Elisa Bianco, biologa responsabile del settore alimentare di CIWF Italia (Compassion in World Farming), ong internazionale che si occupa del benessere degli animali negli allevamenti intensivi. Un ossimoro in molte, troppe, nazioni.

Elisa Bianco_CIWF

Che cos’è esattamente il CIWF?
È una ong che si occupa della protezione e del benessere degli animali da allevamento fondata nel 1967 in Gran Bretagna da un allevatore di vacche da latte impressionato dalla piega che stavano prendendo gli allevamenti intensivi. Il CIWF ha vari uffici in Europa, tra cui quello italiano, e anche in alcuni stati extraeuropei, come la Cina e gli Stati Uniti, per cui ha una copertura geografica ampia.

Quali sono i vostri obiettivi?
Educare e informare sulla tematica del benessere degli animali da allevamento. Realizziamo campagne per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica per raccogliere supporto che ci è poi indispensabile al fine di interagire con le istituzioni e chiedere interventi legislativi che puntino al benessere degli animali.
Inizialmente l’obiettivo del CIWF era quello di ampliare la consapevolezza delle persone, ora lavoriamo anche con istituzioni e lobby per creare alternative che il consumatore possa raggiungere in modo semplice, e con aziende alimentari che vogliano aumentare gli standard impiegati per il raggiungimento del benessere animale.

In concreto, come opera il CIWF?
Noi forniamo consulenza tecnico-scientifica alle aziende per raggiungere standard minimi di benessere animale e aiutiamo a comunicarlo. Abbiamo in particolare 3 priorità su cui lavorare: no alle mutilazioni di routine (si tratta per esempio del taglio dei becchi delle galline ovaiole, del taglio delle code e della castrazione per i suini, che negli allevamenti intensivi vengono fatti senza l’uso di anestetici e analgesici), no al confinamento in gabbia per tutte le specie. Sapete per esempio che il 100% dei conigli italiani è allevato in gabbia, anche quello certificato biologico perché il disciplinare prevede l’adeguamento entro il 2017? Noi stiamo portando avanti la campagna europea End the Cage Age, che è una campagna pluriennale, ogni anno dedicata a una specie. E abbiamo proprio deciso di cominciare con i conigli.
La terza priorità che abbiamo, riguarda invece la possibilità che l’animale esprima comportamenti naturali grazie per esempio all’inserimento di materiali manipolabili adeguati per i suini che possano destare il loro interesse e la loro curiosità. Perché, lo ricordiamo, il maiale è un animale molto intelligente, più del cane o del gatto.

Il CIWF è un ente certificatore?
No, non è un ente certificatore, e per inciso solo la certificazione del biologico parla di benessere animale, anche se ha delle lacune.
Come CIWF abbiamo creato dei premi che non sono certificazioni ma menzioni d’onore per individuare le eccellenze, le aziende leadership. Ci sono per esempio i premi Good Milk, Good Egg, Good Chicken e Good Pig. Ma al momento non esiste ancora il Good Rabbit.

Come definire esattamente il benessere degli animali?
C’è sempre una grande discussione da fare qui in Italia perché pensiamo solo che il benessere animale sia legato all’alimentazione, a ciò che mangiano. Semplicisticamente si può dire che gli animali stanno bene quando sono felici, ma per spiegare questo concetto servono dei parametri perché il benessere è una condizione plurifattoriale che dipende dal benessere fisico, che coincide con l’assenza di malattie e di sofferenza, dal benessere psichico e dalla possibilità di esprimere comportamenti specie-specifici, che l’animale esprimerebbe cioè in natura.
A livello internazionale è condivisa la definizione del comitato Farm Animal Welfare Committee che ha identificato il benessere animale come condizione in cui si verificano 5 libertà: da fame e sete, da sofferenza e dolore, da paura e disagio, di esprimere comportamenti specifici e di avere un ambiente confortevole.

Un altro dei problemi legati agli allevamenti intensivi è l’uso massiccio di antibiotici. Lo conferma?
Sì, c’è un uso altissimo di antibiotici negli allevamenti intensivi, è un uso che si definisce preventivo di routine, profilattico e non anafilattico, perché si sa che le condizioni di allevamento sono talmente deficitarie che faranno sicuramente ammalare gli animali (per sovraffollamento nel caso per esempio dei polli o a causa della castrazione per i suini).
Il problema per l’uomo non è la paura che l’antibiotico sia presente nella carne che mangia, perché c’è comunque un periodo di sospensione della somministrazione di antibiotici prima della macellazione e poi la carne viene comunque cotta. Il problema invece è che si sviluppino batteri antibiotico resistenti che possono essere trasmessi all’uomo che tocca quella carne cruda. Questo sì, sta diventando un vero pericolo.

Quali consigli può dare a noi consumatori?
È importante chiedersi da dove vengono i prodotti di origine animale che compriamo, facendo anche attenzione ai prodotti nascosti, come per esempio il burro nei biscotti o le uova della maionese confezionata. Il mio consiglio è quello di porsi sempre molte domande.

Una curiosità finale, lei è vegetariana?
Essere vegetariani è una scelta personale, che prescinde da questi discorsi. Io credo che debba essere un obbligo sociale e morale occuparsi del benessere degli animali perché la legislazione europea riconosce l’animale come essere senziente, capace di avere sensazioni e esperienze. Credo perciò che debba essere un impegno di tutti battersi perché vengano allevati con modalità che rispettino e garantiscano il loro benessere. Per esempio una delle nostre ultime campagne ha ottenuto un grande risultato: 80mila firme per la chiusura del macello libanese di Beirut, che non era a norma con le leggi europee, né con quelle del buon senso per l’uso di pratiche barbare.