Agronomi contro il Dissesto Idrogeologico: il livello di consapevolezza della prevenzione.

1 - 2016 - Foto professionale

Rino Borriello conia l’acronimo per una nuova certificazione della stabilità dei terreni agricoli in pendio, il C.C.G.A. (Certificato di Congruità di Giacitura Agronomica rispetto ai luoghi). Per la corretta gestione agricola dei versanti, fondata sull’apporto concreto dei dottori agronomi.

Le escursioni domenicali negli ambienti naturali della Campania, mi offrono l’opportunità di calarmi nell’estrema fragilità degli ecosistemi montani e di osservare l’avanzamento dei processi di erosione di molti versanti. Sia che mi trovi sul Partenio in Irpinia, o chestia inerpicandomi sui sentieri dell’Avvocata a Cava dè Tirreni, o che abbia preso il tracciato di Croce della Conocchia per raggiungere la vetta del Molare sul Monte Faito, osservo ovunque che estesi tratti di castagneto o di bosco misto o di faggeta, a seconda dei luoghi, versano in uno stato, a mio avviso, poco rassicurante, con piante in equilibrio precario sui declivi, scalzate in tal guisa che le nude radici paiono aggrapparsi al terreno portato loro via dalle acque, in un ultimo e vano tentativo di trattenerlo.

Non è di certo una novità che il nostro Paese sia fra quelli più interessati ai problemi derivanti dal grave dissesto idrogeologico. Lo scorso anno le cronache si riempirono di notizie sui fenomeni alluvionali in Liguria e nel basso Piemonte; più in là anche la pianeggiante e splendida Parma fu ferita dalle acque del Barganzacomepure la Maremma, la Sicilia, l’Emilia, ed un po’ ovunque in Italia: città e coltivi sommersi dalla piena di corsi d’acqua che, fino a poche ore prima dell’esondazione, apparivano come torrenti di scarsa portata, innocui a tal punto che, nei loro alvei, scriteriati progettisti, con la complicità di ancor più dissennati amministratori pubblici, erano riusciti a costruirvi delle case.

Ed in Campania?

E’ di pochissimi anni la triste notizia di ciò che successe ad Atrani: “Piogge torrenziali fanno cadere giù le montagne della Costiera Amalfitana”, si scrisse, e qualche giornale intitolava pure con la dicitura: “All’improvviso”, più volte ripetuta anche in televisione.

Evidentemente a quei cronisti di corta memoria sfuggiva il ricordo delle catastrofi che avevano colpito, solo pochi anni prima, il territorio di Sarno e di Quindici, e quello sotteso alla collina dei Camaldoli, in piena Napoli. Quelle furono, per l’ennesima volta, le occasioni per ribadire l’urgenza di dare corso ad una corretta politica del territorio basata su meri parametri scientifici. Tale politica non fu attuata, anche se la Campania si è dotata di un Piano per l’Assetto Idrogeologico, il cui Stralcio (PSAI) redatto dall’Autorità di Bacino, fu presentato il 29 settembre 2014 in un importante Forum di Consultazione Pubblica al quale partecipai con estremo interesse, anche per l’indiscussa valenza e bravura dei relatori.Da quel primo incontro,molti passi sono stati fatti in avanti,così che oggi è possibile accedere ad un gran numero di dati e di informazioni collegandosi proprio con il portale della Regione Campania, o con l’Autorità di Bacino, o con l’I.N.U. ecc.

Sappiamo anche che in Campania è stata ampliata la già cospicua rete di monitoraggio ambientale, sistemando in Cilento e sulla Costiera Amalfitana, 20 nuove stazioni pluviometriche dotate di modernissime tecnologie compreso il PMB25 UNI, un nuovo modello di sensore pluviometrico. Con queste dotazioni le stazioni saranno in grado di fornire non solo i dati sul livello cumulato della pioggia, ma soprattutto quelli relativi al livello di intensità delle precipitazioni, rilevandolo ogni sessanta secondi. Certo, la dotazione di sistemi di monitoraggio è già un importante fattore di prevenzione, ma ciò che si nota, percorrendo le aree interne della Regione o recandosi sulle alture della Penisola Sorrentina, è che poco è stato fatto nel settore della conservazione del suolo, benché non manchino esempi di superfici ben terrazzate, quasi sempre investite a vigneto e ad oliveto e che connotano paesaggisticamente il territorio.

Non è certo questa la sede per approfondimenti sul tema,ma in linea di massima dirò che, per una corretta gestione del territorio agricolo-forestale, al fine di contenerne i fenomeni erosivi, si dovrebbe puntare alla riqualificazione degli ecosistemi degradati ed alla conservazione della risorsa Suolo.

In primis si dovrebbero applicare tutte le norme e le metodologie atte a mantenere il buono stato di efficienza ecologica delle coperture forestali onde esaltarne le precipuità nel controllo dell’idrologia superficiale e dell’erosione dei versanti. Laddove poi le superfici declivi ospitino le attività agricole, si dovrebbero osservare tutte le norme di correzione della giacitura dei terreni, troppo spesso sistemati e coltivatisenza il coinvolgimento professionale di un agronomo ma affidandosi, il più delle volte, alle consuetudini locali di gestione anziché ad un’attenta opera di sistemazione idraulico-agraria dei terreni. Quest’ultima invece, consentirebbe di ottimizzare la regimazione delle acquee la loro conservazione nel suolo oltre che a limitarne notevolmente la capacità erosiva. Sotto questo aspettoed implementando quanto già espresso nei Regolamenti di alcune Regioni, avanzo l’idea che per tutti gli appezzamenti posti in situazioni di rischio idrogeologico, si dovrebbero pretendere, non solo la certificazione geologica di idoneità statica, ma anche quella di “Congruità di Giacitura Agronomica rispetto ai luoghi” attraverso il C.C.G.A acronimo di una certificazione a cui ho pensato e che, a firma di un dottore agronomo-forestale, dovrebbe figurare nella documentazione necessaria per ricevere l’autorizzazione ad avviare le attività agricole, pena la non coltivabilità dei suoli stessi. La cosa, nel garantire un presidio costante del territorio da parte dei dottori agronomi, tutelerebbe sia l’agricoltore che l’Ente Pubblico, nella consapevolezza che ogni attività di gestione dei suoli ad alto rischio di dissesto idrogeologico, potrebbe essere realizzata solo a seguito dell’attuazione di tutte le misure contenitive dei fenomeni erosivi e di difesa dei suoli.

In più si potrebbe esaltare anche il ruolo del volontariato ecologico come grande risorsa per scopi di prevenzione del dissesto, coinvolgendolo nelle necessarie attività di vigilanza e di monitoraggio, oltre che a impiegarlo nell’esecuzione digenerici lavori di manutenzione. Infatti, quasi sempre gli Enti preposti all’azione attiva sui territori, si avvalgono del volontariato solo “a disastro avvenuto” per implementare le azioni dei servizi provinciali e regionali di protezione civile, o attraverso le necessarie opere di gestione delle emergenze.

Il nostro territorio non ha soltanto bisogno di misure contenitive dei fenomeni, ma di un attento programma di grandi opere pubbliche di utilità generale, che veda coinvolti i geologi, gli agronomi ed i naturalisti nonché, ed in perfetta sinergia con i primi, gli urbanisti.

Il fatto che le nostre Università siano già piene di studi e di tesi sul riassetto idrogeologico e che questi restino inascoltati e confinati negli archivi, la dice lunga sull’effettiva volontà di dar corso ad un serio programma di assetto territoriale.

Già nel 1993, Legambiente restò inascoltata nonostante gli allarmi sulla preoccupante instabilità dei versanti del Faito desunta dalla“Carta della Stabilità dei Versanti della Penisola Sorrentina” datata 1975 (!). Tutto ciò legittima il dubbio che, oggi come ai tempi ante Quindici, si punti cinicamente più alla ricostruzione, maggiormente proficua,che alla prevenzione, più impegnativa, nonostante che lì sotto, affacciandosi dalla vetta del Molare, lo sguardo si allarghi sul magnifico quanto tragico panorama del territorio stabiese: luoghi di bellezza ferita e di memorie, così come di lunga, colpevole, inoperosa e silente attesa.