L’ex-ministo Alberto Clò: “Il referendum No Triv è solo slogan e disinformazione”

Sono ore febbrili per i referendum voluti da dieci regioni italiane contro le estrazioni petrolifere. Tra regioni che si sfilano (l’Abruzzo, dopo che il Governo Renzi ha congelato le piattaforme petrolifere entro le 12 miglia dalla costa), pressioni per avere l’electionday e mentre si è ancora in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione, la situazione è quanto mai confusa. Nel frattempo continuano a imperversare le polemiche sui media e sul web, che di certo non aiutano a fare chiarezza su un tema così delicato e controverso, ma anche così importante per il futuro dell’Italia.

Ne ha parlato in un’intervista al Corriere di Bologna, con toni che non lasciano spazio a dubbi, anche Alberto Clò, ex Ministro dell’Industria, uno dei massimi esperti di energia del nostro Paese, attualmente direttore del RIE – Ricerche Industriali ed Economiche, che avevo già avuto modo di intervistare qui.

Il professore non ha dubbi: “Perfino i media sposano acriticamente tutte le tesi degli ambientalisti più radicali. Fanno disinformazione. Creano le condizioni perché vinca il sì e perché l’abolizione di una piccola norma che riguarda lo sfruttamento dei giacimenti off shore entro le 12 miglia dalla costa diventi la tomba politica dell’industria petrolifera nazionale”.

Insomma, con questi referendum l’Italia rischia davvero di mettere la parola fine a un settore industriale da esportazione, all’avanguardia in tutto il mondo, con tutte le conseguenze economiche e occupazionali del caso, a fronte di rischi per l’ambiente più fantomatici che reali. E il professor Clò ci tiene a ribadirlo: “In 60 anni di estrazioni in Italia, con centinaia di pozzi a terra e 117 piattaforme in mare, non si è mai verificato un incidente o un caso di inquinamento grave accertato. I nostri tecnici, i nostri ingegneri sono i migliori al mondo, le nostre tecnologie le più sicure e le meno invasive”.

Eppure gli ambientalisti continuano a innalzare il vessillo dell’ambiente come unica e sola ricchezza italiana (ma se il turismo, l’agricoltura e la pesca sono il nostro valore aggiunto, perché c’è così tanta disoccupazione?). Un patrimonio ambientale che quindi va tutelato anche al costo di sacrificare importanti settori industriali.Ma è davvero così? Petrolio e turismo-agricoltura non possono convivere? Il Professor Clò ribatte anche su questo punto: “L’evidenza dei fatti dice il contrario. In prossimità delle aree di sfruttamento petrolifero, in Val Padana e in Adriatico, abbiamo l’agricoltura più fiorente, le migliori aree di pesca e lemete turistiche più frequentate. All’estero, poi, abbiamo virtuosi esempi di collaborazione. Per esempio calore per l’agricoltura in serra o carburante a buon mercato per flotte di pescherecci”.

Eppure in questo momento nella mentalità collettiva si è affermata con forza l’opinione per cui “green=buono” e “petrolio=cattivo”, per cui stop con le estrazioni e puntare tutto su energie rinnovabili, sul fotovoltaico e sull’eolico. Ma è davvero una posizione realistica e auspicabile questa? Sembrerebbe proprio di no. “Questa è la mistificazione più clamorosa – continua il professor Clò – idrocarburi e rinnovabili non sono intercambiabili. Gli idrocarburi coprono il fabbisogno del trasporto e della petrolchimica, le rinnovabili solo quello dell’energia elettrica. Questo con le attuali tecnologie, per almeno altri 20 o 30 anni. Quindi l’alternativa allo sfruttamento delle nostre riserve è soltanto l’importazione di gas e petrolio dall’estero. Magari finanziando l’Isis”.

Ovviamente siamo tutti d’accordo che sarebbe una buona cosa aumentare proporzionalmente la quota delle energie rinnovabili (che pure però hanno il loro impatto sull’ambiente), ma se vogliamo il riscaldamento, l’automobile e tante altri beni di prima necessità, di cui non sarebbe facile per nessuno di noi fare a meno, gli idrocarburi sono indispensabili.

Ma so già che obiezione fanno a questo punto gli ambientalisti più accaniti: “In Italia il petrolio è scarso, conviene importarlo dall’estero” (perché ognuno è ambientalista a casa propria…). A questo il professor Clò risponde con la fredda esattezza dei numeri: “Oggi produciamo 12 milioni di tonnellate di petrolio equivalente l’anno, pari a circa il 10% del nostro fabbisogno di idrocarburi; le sole riserve accertate ci permetterebbero di salire a 22 milioni di tonnellate entro il 2020, riducendo a poco più dell’80% la nostra dipendenza dall’estero. È l’equivalente di quel che importiamo dalla Libia. Le sembra poco?”

Nel nostro Paese c’è libertà di pensiero e tutte le opinioni sono legittime, ma alcune sono basate sui fatti e sulle evidenze, sui numeri e sui conti, altre invece sugli slogan e le semplificazioni. Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma quando sarà il momento di esprimere la propria opinione nell’urna, forse sarebbe meglio farlo in maniera ponderata e correttamente informata sui fatti. E per conoscere meglio complesse questioni come queste, che toccano l’economia e l’ambiente, lo sviluppo industriale e la creazione di posti di lavoro – in una parola, la vita di milioni di persone – forse i social network non bastano.