I murales di Orgosolo. Intervista a Paolo Coretti

di Patricia Lolli

Orgosolo. Un viaggio fra le testimonianze dei murales. E fra i segni nel territorio di tempi ben più lontani.
L’autore delle fotografie, Paolo Coretti, ci illustra con le immagini e con le parole il proprio ricordo. Il bibliotecario comunale di Orgosolo, Francesco Montisci, ci conduce nella realtà locale di chi
vive i murales tutti i giorni. La spiegazione tecnica di Giovanna Corraine (nata e vissuta ad Orgosolo, ha conseguito la laurea magistrale quale restauratrice di beni culturali presso la Scuola di Conservazione e Restauro di Urbino, con tesi dedicata ai propri luoghi e dal titolo più che indicativo : “I murales di Orgosolo dalla documentazione alla conservazione”), ci aiuta a comprendere le difficoltà presenti nel loro mantenimento ed i possibili interventi per evitare che tali testimonianze si disperdano senza traccia per gli abitanti e per chi verrà in seguito sostando o di passaggio.

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Intervista a Paolo Coretti

Orgosolo ci offre un’opportunità, coniugare antiche tradizioni sarde e uno sguardo critico molto attuale. Scorrendo i murales contemporanei, cosa emerge a Suo avviso in tali opere?

Innanzitutto bisogna premettere che sulle mura delle case del paese con i murales vengono espresse tematiche assolutamente diverse, per cui possiamo ravvisare diverse letture. Ci sono i murales di protesta civile contro una amministrazione poco attenta alle esigenze della popolazione, una denuncia delle malversazioni politiche, una testimonianza degli avvenimenti mondiali più o meno recenti (dal Viet-Nam all’11 settembre 2001), una testimonianza della vita di ogni giorno (ad esempio il lavoro in miniera), riflessioni sulle “storture” del mondo, una denuncia contro il colonialismo, una ironia (quasi sempre amara) sulla realtà  della politica, la pura  propaganda politica. C’è anche la Sardegna, con i conflitti tra pastori e forze dell’ordine, il ricordo del film “Banditi ad Orgosolo”, la vita dell’artigiano, del pastore, del contadino.

Il Suo occhio di esperto fotografo coglie nei murales più temi locali, italiani o internazionali?

I temi dei murales possono avere qualche attinenza ai fatti locali, italiani o internazionali, ma questo aspetto non viene colto in maniera così schematica: i temi trattati sono temi “universali” trasversali a popoli, culture, epoche, sono temi della lotta per la libertà, il lavoro, la difesa dei diritti, ma soprattutto per la dignità delle persone.

Le tecniche esecutive dei murales sono varie? 

Non ho mai avuto la possibilità di assistere alla produzione di un murales o di parteciparvi (non ne sarei assolutamente capace perché negato per il disegno). Da quanto so dapprima si stende un fissativo per bloccare la polvere e per favorire l’adesione del colore al supporto. Il colore può essere a tempera, ma resiste poco alle intemperie ed è poco coprente, per cui i colori non sono mai brillanti. Pertanto la maggior parte dei murales è costituita da pittura lavabile che permette, soprattutto se stesa su uno sfondo bianco, di ottenere colori più brillanti. In ogni caso dopo qualche anno bisogna “ripassare” l’opera perché il tempo non è galantuomo e tende a far sbiadire colori e disegno. Questo, tra l’altro è uno dei grossi problemi per la conservazione dei murales del Muro di Berlino. Infine, i più recenti possono essere anche realizzati con colori acrilici, economici, di facile uso e di buona conservabilità. Comunque più che di tecniche parlerei di “stili”. Il surrealismo, lo stile naif, l’iperrealismo, la “pittura classica”, la tecnica fumettistica e dei cartelloni pubblicitari, tutto è rappresentato, in un mondo che trascende epoche e stili.

I murales contemporanei si presentano ad Orgosolo come fatto artistico integrato rispetto alla realtà urbana del territorio o in qualche modo si separano da essa o sono addirittura stridenti?

Io non conosco la realtà urbana del territorio, bisognerebbe viverci per qualche tempo, per cui posso solo esprimere qualche “flash” che ho potuto intravedere sui murales. Certamente queste espressioni artistiche esprimono la vita, i pensieri, le paure, la rabbia della popolazione. Purtroppo non ho intravisto, ma spero ci siano, dei murales che esprimano la speranza; prevale un senso di rabbia, di voglia di lotta, di profonda amarezza per l’ingiustizia, la poca (se non nulla), fiducia nelle istituzioni.Mi ha molto colpito non un una pittura murale, ma una pittura su un masso, posta sulla strada, tutta tornanti, che porta al paese. E’ il volto di un “bandito” che con senso di ironia dà il benvenuto al viaggiatore e forse vuol anche significare tutti i pregiudizi che si hanno riguardo la Barbagia ed i suoi abitanti…

Possiamo commentare con qualche esempio di Sue foto quale primo impatto, a Suo avviso, abbia ad Orgosolo un turista e quale resti sugli abitanti? 

Le foto già inserite esprimono, spero, le emozioni che ho provato in questa mia troppo fugace esperienza in questa straordinaria realtà dei murales. Non ho avuto alcuna impressione sugli abitanti perché non si vedeva anima viva in giro: c’erano solo i murales che mi gridavano la loro muta testimonianza. In Friuli  Bordano è il “paese delle farfalle” perché c’è un bellissimo centro naturalistico e tutte le case sono abbellite con murales. Dico volutamente abbellite perché il tema è unico: le leggiadre farfalle. Anche in quel paese non ho incontrato gli abitanti: bastavano le farfalle sulle pareti a dare vita, quasi a significare che le persone scompaiono, ma le idee ed i pensieri restano…. Due paesi così diversi, Orgosolo e Bordano, due regioni distantissime, Sardegna e Friuli, ma questa unica caratteristica che le accomuna: i murales prevalgono sulla quotidianità.

Ci racconta anche una caratteristica naturalistica  del territorio che ha fissato nelle Sue immagini e ci spiega il perché della scelta? 

Dopo aver visitato il sito archeologico di Tharros, il bus si è diretto verso Nuoro e la Barbagia, inerpicandosi su una strada di tornanti che mi aveva fatto appisolare. All’improvviso, dopo una curva, si è aperta una panoramica del paesaggio circostante ed i miei sensi sono ritornati vigili all’istante. Era una visione cara e familiare: il Carso. Non era il mio Carso di Trieste, eravamo non su un altipiano ma in ambiente montano. Le caratteristiche geologiche e morfologiche erano però assolutamente simili e perciò mi sono ritrovato proiettato in un ambiente assolutamente a me consono. L’aspetto carsico è dato dai “tacchi”, cioè affioramenti di dolomie sedimentatesi in un ambiente di piattaforma nel corso dell’era giurassica e di tipologia del tutto differente dal basamento metamorfico che caratterizza il resto della Sardegna, per cui potete immaginare lo stupore che mi ha pervaso: era come essere trasportati all’improvviso da uno spazio geografico in un altro, quasi come essere in un albergo di una città, aprire una porta  e trovarsi in una stanza della nostra casa.

Tutte le foto si possono vedere a questo link.

Le interviste a Francesco Montisci e Giovanna Corraine saranno pubblicate prossimamente in altro articolo.