La teoria delle finestre rotte: degrado porta degrado?

Avete mai sentito parlare della teoria delle finestre rotte? Ogni tanto nel servizio di un Tg sul degrado di una qualsiasi città del Pianeta o in un articolo di giornale spunta fuori questa teoria che a costo di svilire e stravolgere potrei sintetizzare così: degrado porta degrado.

Per questo una comunità coesa che tiene al bene collettivo e cura l’ordine e il bello, vince. Perché combatte il degrado lì dove prende forma e lo previene. Proviamo ad utilizzare quello che sappiamo come una “cassetta per gli attrezzi” con cui analizzare la complessità che ci circonda e in questa cassetta c’è anche la teoria delle finestre rotte o Broken Window Theory. Vi spiego come nasce e anche perché possiamo indossare questi occhiali nelle nostre città per analizzare il degrado o l’ordine in cui versano le piazze o le vie.

Siamo nel campo della sociologia e della criminologia, sono gli anni ’60 e in alcune città d’America c’è emergenza criminalità. Uno psicologo sociale, Philip Zimbardo fa un esperimento, lascia una macchina al Bronx, una zona malfamata di New York, e una a Palo Alto in California. Entrambe le auto vengono lasciate con il cofano aperto e fra le due ad essere saccheggiata fu quella lasciata nel Bronx. Che esperimento è? Direte voi.

Passano molti anni e molti esperimenti, molti crimini e tanti modi di combattere la criminalità.

Nel 1982 i criminologi Wilson e Kelling pubblicano un articolo dal titolo “Broken Window Theory”, eccola qui la nostra teoria della finestra rotta. Secondo i criminologi non punire piccoli crimini e trasgressioni può generare fenomeni di emulazione che portano a spirali di violenza più gravi, una escalation di criminalità da cui è difficile uscire.

Veniamo alla finestra rotta, i due autori sostengono che se nessuno ripara una finestra rotta in un edificio si diffonde l’idea che sia abbandonato o lasciato all’incuria e questo lo rende più esposto a crimini e vandalizzazioni. Insomma se ti trovi in un posto dal prato curato, cestini in ordine, strade pulite, difficilmente butterai il tuo chewing-gum a terra secondo Wilson e Kelling.

Fra quelli che hanno preso e fatto propria questa teoria Rudolph Giuliani sindaco di New York  dal 1994 al 2001, che adottò il pugno di ferro contro la criminalità cambiando la faccia della Grande Mela.

E’ ancora così? Cosa possiamo imparare da questa teoria che ha già compiuto 30 anni in un mondo completamente diverso perché connesso e interconnesso rispetto a quello che hanno studiato i criminologi della teoria delle finestre rotte. Oggi i graffiti (Murales) che 30 anni fa venivano inseriti nel degrado considerato da Wilson e Kelling sono inseriti in un processo di riqualificazione urbana. L’esatto opposto. Lo abbiamo visto al Parco dei Murales di Ponticelli, 4 opere di artisti diversi dialogano con il contesto e agiscono come acceleratrici di recupero degli spazi comuni e dell’idea più concreta di comunità.

Cosa impariamo ancora oggi dalla teoria delle finestre rotte? Cose semplici, forse banali ma che è bene ricordare a noi stessi.

Che in un ambiente illuminato, pulito e ordinato stiamo più attenti a tenerlo in quello stato, ci sentiamo più sicuri e meno inclini a piccoli atti incivili.

Che in ambiente sporco, buio e vittima di degrado ci sentiamo insicuri e ci facciamo meno problemi ad abbandonare una cartaccia involontariamente caduta a terra.

Che tenere pulito è più facile che pulire.

Che ci sono piccoli grandi atti di rivoluzione urbana per recuperare l’idea che gli spazi pubblici appartengono un po’ a tutti noi e quindi ne siamo tutti responsabili. Perché noi siamo la comunità, non una community on line fatta di clic ma una comunità di persone che agiscono per il bene comune e quello proprio. Quindi se c’è una finestra da riparare non spetta sempre a un altro, spetta anche un po’ a me prima che tutto l’edificio sia da riparare.