Catastrofi ambientali in corso da decenni

Mentre il mondo è in apprensione per i danni procurati dalla marea nera nel Golfo del Messico e si interroga sull’efficacia del tappo per arrestare il flusso di petrolio (Econote se n’è occupato a più riprese), Foreign Policy elenca i peggiori cinque disastri accaduti e ancora in corso. Catastrofi delle quali si conosce poco e nulla, se ne scrive ancora di meno e che durano da decenni.

Dal 1492 è in atto ad Haiti un’opera di deforestazione, si calcola che dall’arrivo di Cristoforo Colombo circa il 98% degli alberi è stato abbattuto. Il territorio si presentava coperto di alberi per circa i tre quarti della sua superficie, flora che è stata sfruttata per ricavare carbone vegetale (fonte primaria di energia nazionale) tramite la combustione di legno. Venendo a mancare le radici degli alberi, si perde la solidità e la stabilità del terreno. Le catastrofi naturali hanno effetti disastrosi più su Haiti che sulla Repubblica Dominicana, paese confinante che condivide le stesse condizioni climatiche e geografiche, ma che ha da tempo sostituito il carbone vegetale con il propano ed ha frenato, così, l’abbattimento di alberi.

Il lago Aral, situato al confine tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, si è ridotto a due terzi della sua estensione. Cinquant’anni fa era il quarto lago più grande del mondo, ospitava venti diverse specie di pesci ed era circondato dalla vita brulicante dei paesi circostanti. Il suo prosciugamento è stato definito da Al Gore il più grande disastro ambientale in corso. Nei primi anni ’60, il governo sovietico ha costruito 45 dighe e 32000 chilometri di canali allo scopo di creare un’azienda di cotone. Oltre a perdere le sue risorse d’acqua, l’Aral è infestato da pesticidi delle fabbriche. Si stima che 75 milioni di tonnellate di polvere tossica e sale, vengono alzati ogni anno dal vento attraversando tutta l’Asia Centrale.

La rapida ascesa economica produttiva della Cina è stata possibile grazie all’energia prodotta dal carbone. In conseguenza di questo processo, la Cina è la prima nazione al mondo per l’ emissioni di gas serra; inoltre, elevato è il numero di minatori che muore ogni giorno (se ne stimano circa 13) e frequenti sono gli incendi alle miniere di carbone che avvengono dal 1962. La Mongolia Interna è la regione più colpita dagli incendi, negli ultimi cinquant’anni se ne sono contati 62, che hanno distrutto milioni di tonnellate di carbone ogni anno. Gli esperti affermano che questi incendi, da soli, contribuirebbero ai 2/3 per cento dell’emissione di carbonio mondiale. La Mongolia Interna, un’area quasi completamente deserta e larga 5000 chilometri, beneficia di uno statuto indipendente ed ha in programma di dimezzare gli incendi entro il 2012.

Da oltre cinquant’anni è in corso una perdita di petrolio nel delta del Niger, che, per gravità, supera di gran lunga il disastro della BP. Si parla di circa 2000 diverse perdite e 546 milioni di galloni dispersi, ma i dati risultano poco precisi a causa delle scarse rilevazioni effettuate. Sulle cause e le responsabilità, le accuse sono incrociate. La Shell, tra le principali compagnie petrolifere coinvolte nel disastro, attribuisce la colpa ad eventuali sabotatori. Le associazioni ambientaliste parlano invece dei bassi livelli di sicurezza. Un costo non solo ambientale, ma quantificabile anche in termini di perdite di vite umane: Al Jazeera  afferma che solo nel 2008 sarebbero sarebbero stati 100 i lavoratori morti a cause delle esplosioni negli oleodotti.

Nel 1997 viene scoperta nell’Oceano Pacifico la più grande discarica di immondizia del mondo (ne abbiamo accennato qui). Tra la California e le Hawaii si estende un’enorme macchia di rifiuti (profonda circa trenta metri e larga più del Texas), composta principalmente da plastica. Una serie di correnti marine avrebbe creato questa curiosa macchia di rifiuti: raccogliendo l’immondizia dalle coste occidentali statunitensi e da quelle orientali asiatiche, I rifiuti continuerebbero a girare in una zona del Nord Pacifico. Preoccupanti le conseguenze anche per la fauna marina. I pesci che si nutrirebbero di pezzi di plastica e delle sostanze chimiche rilasciate nell’acqua, sono poi quelli che finiscono nei piatti dei consumatori americani.

Eventi e numeri allarmanti di cui molte persone ignorano l’esistenza, ma che continuano da anni – e chissà per quanto ancora – a consumare tragedie ambientali di vastissime proporzioni.