La sostenibilita’ dell’arte

Parliamo della cosidetta Land Art o Earth Art o Arte ecologica, che sorge negli USA nel decennio 1960-70, ma è solo nel ’69 che per la prima volta in California Gerry Schum usa questo termine per definire l’attività di un gruppo di artisti, fra cui Jan Dibbets, Richard Long, Barry Flanagan, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Christo Javacheff ed altri, che operano interventi sul paesaggio naturale, sfruttandone i suoi stessi elementi senza alterarlo in modo permanente ma inducendo solo momentanei cambiamenti: le “opere” così prodotte hanno quindi un carattere provvisorio e transitorio, non sono stabilmente fissate al luogo in cui sorgono e, temporaneamente posizionate in base ad una serie di contrassegni, sono destinate a subire un degrado naturale che restituisce nel tempo i luoghi al loro originario stato.

E’ evidente un interesse di carattere ecologico per i ritmi della natura e per la struttura biologica del paesaggio, volto al recupero di sensazioni elementari arcaiche prodotte da un mutamento nella struttura naturale per osservarne sperimentalmente i risultati, in una modalità di interazione con la natura contrapposta alla cultura contemporanea sostanzialmente tecnicistica, come una presa di coscienza dell’intervento dell’uomo su elementi che presentano un ordine naturale e che, da tale intervento, sono sconvolti ed incrinati“.

Come l’Arte comportamentale, la Land Art vuole soprattutto lanciare un messaggio, e qui sta il suo carattere sostanzialmente concettuale, non vuole produrre alcunchè, tanto che come prova della sua esistenza resta solo la documentazione fotografica e cinematografica (foto, filmati, video-tapes) a testimoniare che qualcosa è avvenuto, mentre, come la Minimal Art nutre un sostanziale disprezzo per la forma, una volontà di rinuncia all’idea di creare una forma nuova, intesa come costruzione per mano dell’uomo, a favore di una forma che si confronti direttamente con la realtà, anzi assumendo a “forma” la realtà stessa.

Una delle più famose opere di Land Art è la “Spiral Jetty”, di Robert Smithson, una spirale che si sviluppa per quattrocentocinquanta metri sulla superficie del lago Great Sant nell’Utah, realizzata con terra e sassi in una località praticamente inaccessibile, visibile solo a volo d’uccello e divulgata attraverso fotografie, una forma aperta che suggerisce l’idea dell’infinito, secondo le preferenze del suo autore per volumi che implicano una progressione geometrica, anche se in effetti questa particolare opera sembra adombrare rapporti con strutture della preistoria, per esempio Stonehenge o Giza, quasi di tipo esoterico.

Un altro esempio, ma tutto italiano, è  il Cretto di Alberto Burri, gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città di Gibellina, (Trapani),  andata distrutta in seguito ad un violento terremoto. Esso infatti sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, attualmente “cementificate” dall’opera di Burri. Dall’alto l’opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese.

In generale si può dire che il termine Land Art indica una corrente che, partendo da un progetto mentale concettuale di rimodellazione del paesaggio, vuol arrivare ad una esperienza della realtà modificata che induca una maggior consapevolezza dell’essere uomini nel contesto naturale, introducendo una traccia di intervento del tutto umano in un paesaggio rielaborato dall’uomo con materiali naturali, provocando così una inusuale percezione della scala di rapporti tra uomo e spazio.
All’insegna dell’effimero, della durata limitata, poiché di tutto, come nelle performances dell’happening, resterà solo una traccia documentale.

La nuova Land Art, quella dei giorni nostri, è sempre più consapevole del contenuto di questo messaggio: il messaggio di un’arte fatta esclusivamente utilizzando quello che la natura mette a disposizione, come rami, sassi, foglie… un modo al 100% ecosostenibile e biologico di fare arte.
Un’arte che mira a celebrare la natura, non a perpetuarsi.