In Usa per fare business arrivano le Benefit Corporation

Il momento economico attuale non aiuta certo le aziende, che si stanno scorciando le maniche per reinventarsi e attrarre nuovi consumatori.

Si cerca la luce in fondo a un tunnel che vede calare i consumi e la fiducia in prodotti considerati intoccabili fino a poco fa. Beh, questa luce potrebbe essere verde. Il primo segnale di questo cambiamento di rotta verso un business più sostenibile arriva dagli Stati Uniti, grazie a un disegno di legge entrato in vigore a inizio anno che facilita le imprese, che intendono impegnarsi dal punto di vista ambientale e sociale.

Oltreoceano nasceranno le Benefit Corporation. In poche parole l’azienda dichiara di non agire più nell’interesse dei propri azionisti, bensì della comunità in cui opera.

L’obiettivo della Benefit Corporation deve essere proprio scritto nello statuto della società e si impegna a pubblicare a cadenza annuale un report sulle proprie performance ambientali e sociali. In realtà le Benefit Corporation nascono in seguito all’entrata in vigore di una nuova legge in alcuni stati che offre alle aziende un modo per strutturare giuridicamente le loro attività sociali e ambientali e considerarle parte della loro mission. La legge è entrata in vigore all’inizio del 2012 e già nei primi giorni di gennaio alcune aziende californiane si sono registrate come Benefit Corporation. A prima vista si potrebbe trattare di battage pubblicitario, ma in realtà lo scopo è più complesso ed è di tipo legale. Grazie a questo “cavillo” le aziende che vogliono investire in ambiente vedranno riconosciuta la loro azione alla stregua di qualsiasi investimento. La California è diventata il settimo stato ad adottare questa struttura relativamente nuova impresa. Fino ad ora, la legge dello Stato della California dava priorità all’interesse degli azionisti, che avevano la meglio su tutte le altre iniziative.  Talvolta, gli imprenditori che volevano incorporare iniziative verdi o cause sociali nelle loro attività erano spesso costretti a diventare no-profit, limitando la loro capacità di ottenere capitali di rischio. Il nuovo assetto aziendale oltre a cambiare le strategie d’investimento potrebbe influire anche la comunicazione. E’ noto ormai a tutti che anche i consumatori sono sempre più attenti ai prodotti e cambiando il processo d’acquisto non può non cambiare il marketing. Si sta attenti alla provenienza del prodotto, ci si preoccupa dell’impatto ambientale del packaging e si considerano attentamente le politiche aziendali verso l’ambiente. E se il consumatore è sempre più consapevole, le aziende non devono considerarlo una minaccia bensì un’opportunità di dialogare direttamente con lui.

La relazione diretta con il consumatore è alla base anche del “Manifesto del Green Marketing” scritto da John Grant. Inoltre, l’attualità ci suggerisce che chi sta dall’altra parte della barricata non è poi così sprovveduto.

Se volessimo fare un parallelo basti pensare al caso Omsa e la campagna contro la chiusura dello stabilimento che ha mobilitato migliaia di utenti in rete, che hanno scoraggiato l’acquisto dei prodotti appartenenti al gruppo. Una delle prime risposte di questa azione è arrivata dalla Coop, che ha deciso di non commercializzare più le calze Omsa nei propri punti vendita. Anche se siamo usciti dal seminato dell’ecosostenibilità, il paragone serve per evidenziare quanto i consumatori al giorno d’oggi siano informati e prendano anche iniziative se si sentono presi per il naso. Questo è ancora più vero se si gioca con la loro pelle e l’ambiente in cui vivono.  Staremo a vedere se anche in Italia si perseguirà verso questa strada, del resto la green economy sembra uno dei pochi asset scaccia-crisi.