“La conchiglia è una costruzione in carbonato di calcio posta a protezione o a sostegno di alcune famiglie di invertebrati” Questa è la definizione di conchiglia che potete trovare in rete; “protezione e sostegno” ci viene detto, due parole che evocano qualcosa di bello, di giusto e se vogliamo amorevole. C’è però ben poco di giusto e amorevole nelle attività della Shell, che significa appunto “conchiglia”, e che di una conchiglia, (Pecten Maximus) ha fatto il suo emblema. L’origine di questo attore privato nel comparto del petrolio, uno dei primi quattro al mondo, ha qualcosa di paradossale. Il fondatore dell’azienda ha infatti iniziato la propria carriera esportando conchiglie dal Mar Caspio per i collezionisti inglesi, ed una volta entrato nel business dell’estrazione del petrolio, ha battezzato la prima petroliera della flotta “Murex”, Murice.
Paradossale è che i rimandi al mare ed alle sue creature vengano da un colosso mondiale che della distruzione degli ambienti marini è un professionista.
Distruzione, per quest’anno, fermata grazie alla campagna “Save the Arctic” di Greenpeace, che da qualche giorno celebra la prima grande vittoria: la Shell ha deciso di sospendere i propri piani di trivellazione ed estrazione per un anno, in seguito a sei mesi di lotta da parte di Greenpeace, nel solito stile agguerrito ed eclatante.
Primo atto di protesta: 6 mesi fa, il 24 febbraio, l’attivista Lucy Lawless scalava la torre di trivellazione della piattaforma petrolifera Shell diretta in Alaska dando il via ad un effetto a catena fatto di condivisione su facebook e twitter, manifestazioni presso stazioni di benzina Shell sparse nel mondo, più di due milioni di adesioni sul sito dedicato e appoggio da parte di attori celebri che hanno messo a disposizione la loro fama per la diffusione del messaggio.
A proposito di partecipazioni “vip” vi suggeriamo il video realizzato per la campagna,video di grande qualità, accompagnato dalla musica dei Radiohead e dalla voce di Jude Law. Nel video il simbolo per eccellenza dell’Artico, l’orso polare (di cui econote vi aveva già presentato la bellezza e la situazione di emergenza qui) vaga in una città desolata e artificiale (attenzione, fazzoletto alla mano, è commovente).
La Shell se ne torna a casa dopo aver investito 5 miliardi di dollari, in seguito alla grandissima pressione esercitata dalla campagna: milioni di occhi puntati da ogni parte del globo, pronti a denunciare il più piccolo segno di non rispetto dell’ambiente, su di un piano, quello di trivellazione ed estrazione, che porta con sé un inevitabile e strutturale effetto inquinante.
Come si dice, è stata vinta una battaglia ma non la guerra: la campagna di Greenpeace procede col fine di fare dell’ Artico un santuario naturale al quale sia concesso approcciarsi senza intenti “predatori”, né nei confronti degli animali, né nei confronti delle materie prime.
Permettendomi una breve digressione di carattere personale, condivido con voi cosa mi ha detto un anziano commerciante in un negozio di Berlino stamattina:
“io a scuola quasi non ci sono andato, ho studiato poco, le cose dei professori non le conosco. Ma quello che so per certo, è che la Natura non ha mai rubato niente a nessuno e gli uomini rubano per natura”
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