I 600 alberi di Gezi Park e la voglia di democrazia dei giovani Turchi

Articolo aggiornato il 21 Settembre 2017

“La battaglia d’Istanbul in difesa di seicento alberi, novecento arresti, mille feriti, quattro accecati per sempre, la battaglia d’ Istanbul  è per gli innamorati a passeggio sui viali, per i pensionati, per i cani,
per le radici, la linfa, i nidi sui rami, per l’ ombra d’estate e le tovaglie stese coi cestini e i bambini,
la battaglia d’ Istanbul è per allargare il respiro e per la custodia del sorriso”.

Con queste poche righe lo scrittore Erri De Luca ha descritto ciò che sta accadendo in Turchia. Ha espresso i fatti, emozionando come solo lui sa fare. Questa poesia è comparsa sulla pagina Facebook di Erri De Luca solo ieri e, da allora, la protesta si è mossa. Una protesta pacifica che ha spostato la folla da Gezy Park a Piazza Taksim, dove sono arrivati in migliaia e la tensione è altissima. Il bollettino di guerra si è, purtroppo, arricchito, dopo il quarto giorno di manifestazioni con circa 500 feriti e un morto cerebrale.

fonte: http://occupygezipics.tumblr.com/
fonte: http://occupygezipics.tumblr.com/

La protesta degli alberi si è velocemente trasformata in protesta politica, per manifestare contro un governo e il suo primo ministro Erdogan, accusati di essere sempre più autoritari e di approvare leggi basate su dettami religiosi, rispetto a un Paese che si è laicizzato. Qualcuno penserà che gli alberi di Gezy Park siano solo una scusa per protestare contro una causa governativa, ma il nesso tra quello che rappresentano quei 600 alberi e la voglia di avere un paese moderno è forte.

È qui che mi ricollego alle parole di Erri De Luca. Il passeggio degli innamorati lungo i viali, le famiglie  distese all’ombra per un picnic e quella voglia di allargare il respiro e custodire un sorriso sono il segno di quanto i Turchi vogliano avanzare, crescere e vivere in un paese democratico e sviluppato.

È forte, infatti, la dicotomia da quello che dichiara il governo turco e quello che trapela dai social network, che sono diventati il vero megafono della protesta. Le tv turche restano in mezzo a questo conflitto mediatico senza sbilanciarsi, mentre i social network stanno parlando al mondo per conto del popolo turco che grida la sua mancanza di democrazia e la voglia di cambiamento.

fonte: www.facebook.com/OccupyGezi
fonte: www.facebook.com/OccupyGezi

La principale fonte di informazione è Twitter. Per chi vuole seguire la protesta ci sono i trend topic #OccupyGezy, #direngezipark? e #geziparki . Sono migliaia i tweet che aggregano queste parole chiave, analizzate dal Social Media and Political Participation Laboratory della New York University. Quasi in tempo reale è aggiornato anche Tumblr, con migliaia di foto, che raccontano gli scontri tra civili e forze dell’ordine. Poi c’è l’immancabile Facebook, con una pagina che in pochi giorni è arrivata ad oltre 30mila mi piace.

Secondo gli studiosi sono milioni i Turchi che hanno un account legato ai social network, molti più degli egiziani che hanno raccontato la primavera araba e i fatti di Piazza Tahrir. Oggi, come allora, la portata virale di certi contenuti e certe immagini è potentissima. Il passaparola non conosce fuso orario, località geografica oppure lingua. Il comune denominatore è la voglia di raccontare la verità e far luce su quello che accade.

Sono molti gli intellettuali turchi che stanno lanciando appelli internazionali a sostegno della protesta turca. Tutto il mondo è con i giovani di Gezi che vogliono un paese più democratico e anche più sostenibile dal punto di vista ambientale, perché non c’è sviluppo senza sostenibilità laddove si vuole intedere vero “sostegno alla sopravvivenza del pianeta”, grazie a politiche ecologiche e che facciano vivere gli alberi contro il cemento.