Simone Salvemini racconta “Il giorno che verrà”, il suo documentario su Brindisi

“Una donna che oggi partorisca a Brindisi viene consigliata dal suo medico di effettuare un esame, l’ecocardio fetale, che verifichi se il cuore del bimbo sia sano o meno. Questa anomalia non può diventare prassi. Il territorio di Brindisi è considerato tra i più inquinati d’Italia; esistono leggi nazionali che lo attestano, studi scientifici lo certificano, l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha diffuso nel 2011 i dati che confermano l’enorme danno ambientale subito. Ma questa scomoda verità è volutamente ignorata dall’opinione pubblica nazionale”.

 A dirlo è Simone Salvemini, regista di “Il giorno che verrà” (Kinebottega, 2013), menzione speciale di Legambiente nella sezione “Documentari italiani” all’ultima edizione di Cinemambiente.

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Ma Simone oltre a essere un regista è anche un brindisino. E non solo. È marito di una attivista di Passeggino Rosso, è papà di Matilda, una bimba di un anno e mezzo.

“Il documentario è dedicato a lei e a tutti i bambini di Brindisi” dice commosso pochi giorni dopo la premiazione che ha aiutato a portare all’attenzione dell’opinione pubblica, un disastro ambientale spesso dimenticato.

La vicenda di Brindisi non è molto conosciuta. Ma Brindisi condivide l’amaro destino di Taranto e di Casale. Qui a minacciare la salute pubblica sono le emissioni inquinanti della centrale a carbone Enel, “Federico II”, contro la quale è nato da alcuni anni il movimento, No al Carbone.

E i quattro protagonisti del documentario di Simone hanno in comune proprio l’appartenznza a questo movimento. Tra di loro però sono molto diversi.

Il nucleo narrativo del documentario ruota attorno alla figura di Daniela, donna incinta, che trascorre i mesi della gestazione cercando di approfondire le sue conoscenze sulla reale situazione ambientale del territorio in cui vive, considerato da leggi nazionali ed enti scientifici internazionali “ad alto rischio di crisi ambientale”.

Insieme a lei ci sono Pierpaolo che lavora alla “Mappa” dei luoghi più inquinati di Brindisi, Gianni che gestisce un blog e Paola, insegnante e cantante che sta per incidere un disco.

Simone, il tuo documentario dà molti spunti e penetra bene in quella che è una battaglia sociale e civile. Il conflitto si sviluppa anche all’interno delle stesse famiglie dove i mariti lavorano in fabbrica e le mogli protestano contro l’inquinamento?

Il conflitto è anche nelle case. Gli uomini pensano prima al posto di lavoro che a lavorar in un luogo salubre. Pensano a dover mantenere le famiglie e poi solo dopo all’importanza di un ambiente sano. A Passeggino Rosso aderiscono molte donne che sono mogli di operai, preoccupate per il futuro dei figli e per la salute degli stessi mariti.

Come in molto altri casi di disatri ambientali, si può parlare di ricatto lavorativo?

Il ricatto lavorativo è una copertura. Una giustificazione per perpetrare in attività non regolamentari. Bisogna che ci siano norme ambientali e che vengano rispettate. La battaglia più grande di No al Carbone e Passeggino Rosso è quella della consapevolezza e sensibilizzazione di tutte le fasce sociali e della politica. Politica fino a questo punto volutamente inconsapevole.

In queste ultime settimane i giudici del Processo Eternit hanno inflitto 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche per Stephan Schmidheiny. A Taranto i giudici hanno stabilito il blocco al patrimonio dei Riva, i proprietari dell’Ilva che in circa diciotto anni hanno risparmiato 8 miliardi di euro evitando di investire in misure contro l’inquinamento prodotto dagli impianti.

Credi sia un momento di svolta in Italia per quanto riguarda i disastri ambientali?

C’è aria di cambiamento e spero che anche per Brindisi qualcosa si muova. Ma c’è molta strada ancora da fare. Non si è ancora riusciti ad avere risarcimenti adeguati per i cittadini vittime di inquinamento, ad esempio. Il caso di Porto Marghera è emblematico [NdR Al petrolchimico di Marghera (VE) ci sono stati 157 lavoratori morti per tumore a causa della nocività del lavoro e delle materie chimiche trattate e 103 lavoratori ammalati delle stesse patologie tra gli operai addetti alle lavorazioni del PVC]. Anche nelle agende politiche l’ambiente non è mai preso in considerazione. Si pensa prima di tutto allo sviluppo industriale e ai profitti economici. Magari di pochi a scapito di molti. Ma i costi sanitari sono più alti dei profitti. E questo ben lo sanno le famiglie che devono ogni giorno affrontare problemi di salute.