Negli ultimi anni in Italia si sta registrando un costante aumento degli «orti urbani», aree coltivate ricavate da cortili condominiali o da spazi di “verde pubblico” che integrano il fabbisogno alimentare delle famiglie. Già durante il fascimo vennero istituiti gli «orti di guerra», in osservanza all’imperativo del Duce, «non (ci fosse) un lembo di terreno incolto». Negli Stati Uniti e nel Regno Unito si parlava dei «victory gardens», nel 1945 venivano coltivati 1,5 milioni di aree verdi sopperendo al 10% della richiesta di cibo.
I numeri del successo italiano sono riportati dalla Coldiretti: nelle città capoluogo si sono raggiunti i 3,3 milioni di metri quadri di terreno comunale diviso in piccoli appezzamenti e coltivato ad uso domestico o destinato al giardinaggio ricreativo. Le coltivazioni sono triplicate, il lavoro è destinato all’autoconsumo e non c’è nessuno scopo di lucro. Proprio per questo gli appezzamenti sono assegnati in comodato ai richiedenti, con funzione di aiuto per le famiglie in difficoltà ma anche di valore didattico.
Se in Campania gli orti urbani e sociali di Legambiente sono già realtà da dieci anni, a Milano risultano in piena espansione. La Coldiretti offre una quadro di insieme e chiarisce: «Se a livello nazionale praticamente la metà delle amministrazioni comunali dei capoluoghi di provincia nel 2013 hanno messo a disposizione orti urbani, esiste una forte polarizzazione regionale: la percentuale sale all’81 per cento nelle città del Nord (oltre che a Torino, superfici consistenti sono dedicate anche a Bologna e Parma, entrambe intorno ai 155 mila mq), meno di due città capoluogo su tre nel Centro Italia hanno orti urbani, mentre nel Mezzogiorno sono presenti solo a Napoli, Andria, Barletta, Palermo e Nuoro».
Che sia complice la crisi o la voglia di mettersi alla prova, in Italia si mobilitano sempre di più gli «hobby farmers». Questo è un modo anche per restituire ruolo e dignità ad aree altrimenti votate al degrado.
Leave a Comment