Quale futuro per i parchi italiani?

Da tempo è in corso un serrato dibattito sulla riforma della legge sulle aree naturali protette, la numero 394 del 1991. Il Parlamento è chiamato ad approvare un testo che revisioni la normativa che regola l’istituzione e la gestione dei parchi. Le associazioni ambientaliste hanno espresso in maniera netta la loro contrarietà all’ipotesi di riforma ferma in Parlamento da un paio d’anni.

Perché ne parliamo proprio in questo periodo?

Cartello ingresso Parco nazionale Gran Sasso Monti della LagaLo spunto ce lo offre la nomina del nuovo presidente del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. In questi giorni, infatti, scade il mandato di Arturo Diaconale, alla guida del terzo parco più grande d’Italia per sei anni (il primo dei quali da commissario). Ora Diaconale, giornalista, ha fatto rotta su Roma, gratificato dalla poltrona di consigliere di amministrazione della Rai, mentre in Abruzzo si è scatenato il dibattito, dettato più da logiche politiche che tecniche, sul sostituto migliore che il Ministero dell’Ambiente possa scegliere. E nel dibattito fanno sentire la loro voce anche le associazioni ambientaliste. WWF, Legambiente, Italia Nostra, Pro Natura e Mountain Wilderness hanno chiesto pubblicamente una figura di discontinuità con il passato, realmente presente e che dia “garanzie di conoscenza del territorio e delle tematiche ambientali”. La nuova governance del Parco (che passa anche dalla nomina del nuovo direttore dell’ente, carica attualmente in capo ad un dirigente facente funzione) dovrà, secondo le associazioni, “individuare linee politiche serie che mirino alla tutela e alla conservazione insieme a uno sviluppo concretamente sostenibile“.

In un recente comunicato stampa affermano: “Non si può essere presidente di un parco nazionale della rilevanza di quello del Gran Sasso e dei Monti della Laga nei ritagli di tempo […] Non si può essere presidente di un parco nazionale della rilevanza del Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga se non si conoscono e non si vivono il territorio e le specificità proprie dello stesso sia con riferimento alle esigenze di tutela ambientale presenti, sia  con riferimento ai delicati equilibri di una antichissima economia agro-silvo-pastorale che rappresenta la storia e le origini identitarie della comunità abruzzese”.

Massimo Fraticelli
Massimo Fraticelli

Riflessioni che si collegano direttamente al dibattito sul futuro delle aree protette italiane e alla riforma della normativa di riferimento. Massimo Fraticelli, responsabile Parchi di Mountain Wilderness Italia, guida naturalistica e accompagnatore di media montagna, spiega ad Econote: “Bisogna ritrovare la funzione reale delle aree protette. I parchi non sono stati istituiti come strumento di sviluppo dell’economia di un territorio, ma per tutelare e conservare la biodiversità in esso contenuta. Le opportunità economiche, casomai, discendono come conseguenza dalla necessità di tutela”. Da questo punto di vista, prosegue Fraticelli partendo dal caso specifico per sviluppare concetti validi in generale, “bisogna recuperare un collegamento tra l’ente e le popolazioni locali. Ma questo non significa aderire sempre alle richieste dei sindaci”. L’esempio è quello di amministratori che vedono lo sviluppo dei loro territori montani solo attraverso la costruzione di nuovi impianti sciistici ad alto impatto ambientale o sovradimensionati.

“Non è questa la soluzione”, afferma Fraticelli. “Il turismo nelle aree protette va incentivato partendo da nuove attività. Bisogna puntare su sport come lo scialpinismo, l’escursionismo, le attività con le bike. Un altro asso nella manica potrebbe essere la montagnaterapia, sia sul piano fisico che psicologico. Sono idee nuove su cui paesi come la Francia e la Germania stanno puntando, specie in quelle stazioni turistiche a 1400-1500 metri di altezza che non hanno un futuro sciistico”. Così come va fatta una volta per tutte la scelta su come coniugare il turismo con le attività agro-silvo-pastorali tipiche dei territori (ad esempio per la gestione e l’utilizzo dei rifugi). Ma alla base, conclude Fraticelli, bisogna tornare al “recupero dei temi della conservazione della biodiversità, della percezione del paesaggio come valore immateriale. I parchi e le aree naturali protette hanno infatti la principale funzione di tutelare la natura come bene comune ed identitario dei territori”.