Nonostante la diffida della Comunità Europea e le continue rimostranze di tutti i comitati ambientalisti, si continua in Italia a voler abbellire il nome dell’inceneritore, chiamandolo TERMOVALORIZZATORE. Di fatto, a detta di esperti nazionali (Stefano Montanari e tanti altri) e internazionali (uno per tutti: Paul Connett, prof. emerito di chimica ambientale all’Università di New York ed esponente di spicco della strategia Zero Waste), pare che l’inceneritore (termo)valorizzi poco e niente: l’energia che si produce bruciando rifiuti è infima, oltre che scarsa; inoltre i costi per produrla superano di gran lunga il ricavato.

Al contrario, i danni ambientali e sulla salute che si ottengono dall’incenerimento sono esorbitanti e senza via di ritorno. Altro che ciclo integrato dei rifiuti. Di ciclico non c’è nulla, è un’autostrada a senso unico verso l’autodistruzione.

Tra l’altro, quest’autodistruzione lenta (ma nemmeno troppo) ci costa tantissimo: costruire un inceneritore costa almeno 360 milioni di euro (che si estorcono agli incentivi statali per le energie rinnovabili, ovvero a noi cittadini…); mentre ce ne vogliono solo 10 per realizzare un impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti (che non brucia nulla e ricicla i rifiuti oltre il 99% del totale, consentendo rivendita dei materiali e guadagno della comunità).

A chi conviene l’incenerimento?

Come mai dopo l’impianto gigantesco di Acerra, sovradimensionato rispetto alle esigenze del territorio, Regione, Provincia  e Comune accelerano le operazioni per avviare la costruzione dell’inceneritore di Napoli Est?

La risposta è visibile a tutti, nonostante il fumo cancerogeno che ci buttano negli occhi.

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