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Alluvione in Veneto: i perche’ e le proposte di Legambiente

Per il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, l’alluvione che ha messo in ginocchio la regione sarebbe da ricondurre ai più recenti cambiamenti climatici. Di fronte ad eventi metereologici così improvvisi ed estremi, il governo del territorio impone una certa urgenza nel provvedere con interventi strutturali ed investimenti all’altezza della situazione in cui versa la regione. Zaia sembra così allontanare qualsiasi dubbio su presunte responsabilità dell’intervento dell’uomo.

Michele Bertucco, presidente di Legambiente Veneto, commenta le vicende in tono decisamente diverso. Agli interventi per la messa in sicurezza del territorio, sono corrisposte solo una crescita delle spese in interventi straordinari per alluvioni. Bertucco dichiara: «gli interventi il più delle volte hanno causato una dissipazione di risorse economiche, senza essere adeguati alla riduzione del rischio idrogeologico complessivo. Riqualificazione del territorio, diminuzione del consumo di suolo, delocalizzazione dei beni esposti al rischio devono invece essere e parole d’ordine nel piano di messa in sicurezza del territorio. Solo così sarà possibile invertire il processo di sfruttamento e consumo di territorio, prendendo atto che la sicurezza, fruibilità e bellezza di un bacino idrografico dipendono prima di tutto dagli usi cui si destina».

Nel rapporto di Legambiente “Ecosistema Rischio 2010”, si può leggere che in Veneto sono 161 i comuni con aree a rischio idrogeologico, di cui: 41 a rischio frana, 108 a rischio alluvione e 12 a rischio sia di frane che di alluvioni. A Venezia spetta il primato negativo di rischio idrogeologico: 50% dei suoi comuni è al alto rischio. A questi si aggiungono anche quattro dei sette capoluoghi di provincia, infatti restano fuori solo Venezia, Rovigo e Treviso.

In Veneto, la porzione di territorio esposta a rischio è minore rispetto le altre regioni italiane, ma in questi giorni risulta evidente che è impossibile sottovalutare il rischio di frane e alluvioni. Ma Legambiente inquadra un altro importante punto: «Se osserviamo le aree vicino ai fiumi, salta agli occhi l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni ed insediamenti industriali e zootecnici. Gli interventi di messa in sicurezza continuano spesso a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci. Inoltre, troppo spesso non viene realizzata una corretta manutenzione di corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica. L’antropizzazione sempre più pesante delle zone a rischio amplifica il pericolo che si verifichino danni anche gravi, in caso di fenomeni di piena dei corsi d’acqua».

Quanto mai azzeccate allora sono state le parole di Giorgio Napolitano, il Capo dello Stato ha richiamato l’attenzione al mancato rispetto delle regole comuni per privilegiare invece gli interessi individuali.

Michele Bertucco invita gli enti gestori del territorio a fare un generale “mea-culpa”, ma anche a superare la cultura degli interventi post disastri. La ripresa del territorio deve ripartire da un nuovo documento programmatico: «Legambiente chiede agli Enti locali, a partire dai Comuni di creare un’alleanza che coinvolga tutti gli attori in gioco, lo Stato, le regioni, le Autorità di bacino, ma anche le associazioni per programmare per tempo gli interventi di prevenzione e difesa da frane e esondazioni».

Interventi che, al momento, rappresentano la vera emergenza per il Veneto e per tutta l’Italia.

Gennaro Esposito

Gennaro Esposito, Laureato in Sociologia e specializzato in Antropologia Culturale ed Etnologia. Segue ricerche in ambito urbano e collabora con diverse riviste on-line.

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