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“Non chiedere mai più al diavolo di occuparsi del diavolo. Disse così”
Spettri Diavoli Cristi Noi di Riccardo Ielmini è il nuovo romanzo Neo Edizioni, uscito da qualche giorno, che ha vinto la prima edizione del Premio nazionale di narrativa Neo Edizioni 2024 – Anno zero. Il manoscritto è stato scelto tra 505 opere arrivate in lettura, e questo ci dà già un po’ l’idea della qualità del lavoro e della mole di materiale che la redazione della casa editrice abbia passato al setaccio, prima di scegliere. Alla fine, il romanzo di Ielmini ha vinto in quanto – a mio avviso – incarna la quintessenza del catalogo Neo Edizioni, che sa quasi sempre essere avvincente nelle trame senza cedere al mainstream, ricercato nella prosa e molto coraggioso in generale: basti pensare, soltanto negli ultimi anni, a Giampaolo Rugo col suo Acari, a mio avviso uno dei romanzi più sorprendenti degli ultimi 5 anni, o ancora a Caterina Perali, penso ovviamente al non più outsider Paolo Zardi, a Peppe Millanta, a Stefano Redaelli, solo per citarne alcuni.
Dalla redazione dicono che lo hanno “premiato per l’unicità della voce e per la storia avvincente e toccante”. E questo lo si può capire già dall’incipit:
In principio, nel buio, prima del sonno, è la paura, la magica incontrollabile paura del Diavolo che aleggia sulla giovinezza, il Diavolo bestemmiato dalle nostre vecchie come Anticristo, Bestia, Ciapìn, l’acchiappa-anime che visita i tuoi sogni, bambino, che si intrufola nel tuo ozio, pinìn, che perlustra gli angoli morti della tua fragile fortezza, stèla, e quindi sta’ lontano dal Diavolo, e bestemmialo, Satana, tienilo a mente, tienilo a cuore, che se il principio è buono il resto è buono, dicevano le vecchie nella veglia e nel sonno, e noi nottetempo o splendigiorno non volevamo crederci, ma elettrizzavamo la nostra vigilanza, divorando nostro malgrado storie di santi e madonne oppure accatastando pacchi di riso, scatole di salsa, plateaux di tonno per poveri cristi che se ne stavano a crepare di fame a Gulu, Uganda, come se tutto quell’ammonticchiare fosse la nostra muraglia contro le incursioni di Belzebù, e poi ancora abbarbicandoci ai capitoli successivi della dottrina delle vecchie, costellata di esorcisti alle prese con legioni di porci indemoniati e di brucia-stròlighe, e via, quindi, sempre fate attenzione, tesori nostro sangue, dicevano le vecchie, che il diavolo esiste, che esistono sciami di diavoli come calabroni impazziti e rabbiosi che vorticano e depongono il Male, e poi via verso altri luoghi, esistono uomini e donne che il Ciapìn acchiappa come polli in un sacco, e il loro malvagio principio è la loro terribile fine di guaiti e latrati.
Questo è stato, e noi della ghenga eravamo perennemente alle prese con la lista dei nostri peccati scritta su foglietti da raccontare nel chiuso di un confessionale oppure perennemente in fuga, sparviero o guardia-e-ladri, bazzicando come rabdomanti per i boschi prealpini della nostra terra, che noi pomposamente chiamavamo La Contea, in sella alle nostre bmx, battendo sentieri di pittoreschi maniaci che si masturbavano davanti a Caballero, di tossici coi buchi nel gelo di gennaio, di bestiali camporelle addosso a castagni muschiosi.
Noi eravamo in fuga.
Qui in queste pagine è, come dire, anche il manifesto di questo romanzo, che non è sicuramente semplice, non è una “facile lettura”, non è un romanzo d’evasione. La prosa di Ielmini è una prosa che si inerpica, che si avvolge alle volte su se stessa ma più spesso avvolge il lettore, lo trascina in alto per poi sbatterlo verso il basso, una prosa che non di rado lancia lampi nel buio di una notte che sembra caratterizzare l’intero romanzo.
Notte, inquietudine, disagio, peccato e morte. Questi sono i temi che permeano le pagine di questo romanzo, e una delle citazioni in esergo da Razzi arpia inferno e fiamme dei Verdena sembra particolarmente indicata per questa prosa a tratti “verdeniana”, che molto deve a Moresco, a Emanuele Tonon, ed è evidente debitore anche di Roberto Bolano, tanto da citare in modo esplicito anche 2666, Benno Von Arcimboldi e Frau Ingeborg Bauer.
Ci sono i personaggi: la Confraternita, questo è il gruppetto di ragazzini che gira in bmx tra foreste e boschi, mistero e fede, in un paese che da tutti è chiamato la Contea. Ci sono Accio, Bardo, Frida, Fredy. Poi ci sono altri personaggi, Artù il muto, l’uomo dei Boschi, il Gigante dei Traslochi, Arben l’albanese tutti che vanno, appaiono e scompaiono lungo l’arco della narrazione.
E ovunque, nel paese e nei boschi, aleggia LUI, il Diavolo, Belzebù, il male, temuto ed evocato. Che torna negli anni, che lascia un segno indelebile nei ragazzini, poi adulti, della Confraternita. Che distrugge l’innocenza fanciullesca, arrivando fino al passato recente.
Ielmini non è al suo esordio letterario, avendo già pubblicato alcuni libri di poesia e una raccolta di racconti: e l’influsso della poesia, di una poesia inquieta, che si sporca di sangue e di terra, si sente per tutta la lunghezza del suo romanzo. La sua scrittura, densa e stratificata, è quasi come i boschi che fanno da sfondo al libro, misteriosi e a tratti impenetrabili. Ma una volta entrati nel suo mondo, il potere della sua scrittura è stordente, e accompagna i protagonisti dell’opera in modo solenne e originale, raccontando una storia in cui il confine tra male e bene è confuso, dove ci sono più ombre che luci, la memoria di confonde con la leggenda, il reale col sovrannaturale.
Un giorno di metà novembre, quando il bosco è gelato come un tavolo di marmo in una stanza bianca e il cielo finge di avere pietà del mondo, non ci imbattemmo nel vecchio in alcuno dei posti familiari. Era un pomeriggio senza compiti, senza genitori, senza tempo, e l’assenza del vecchio ci allarmò: così decidemmo di iniziare la cerca dell’Uomo Dei Boschi. Le nostre bmx ci portarono su e giù fra querce e castagni; risalimmo da valle a monte; stazionammo per una pisciata al casino di caccia mentre la Frida guardava altrove cantando sguaiata una canzone di chiesa.
Coraggioso e difficilmente inquadrabile in uno stile o genere, il vincitore del premio Neo per la narrativa sorprende quindi con questa storia oscura e inquietante, un romanzo che regala pagine di altissima letteratura, alla ricerca di un’innocenza perduta e di un equilibrio interiore. A fine lettura, si resta scossi, sconquassati, come tornati a respirare aria dopo una lunga apnea.
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