Ho intervistato Domenico Catapano per l’uscita del suo Coltivare Valore, un manuale operativo e insieme riflessivo pensato per chi lavora nel settore agroalimentare e cerca nuovi modi per comunicare il proprio valore — senza retorica e senza compromessi. Una chiacchierata approfondita e interessante che ha toccato temi importanti per chi si occupa di sostenibilità: marketing responsabile, qualità, costruzione di fiducia, packaging sostenibile e molto altro ancora.
Qual è il tuo percorso professionale, che ha portato a cimentarti con questo tema?
Il mio percorso nasce dall’incontro tra una solida formazione e una passione profonda per il settore agroalimentare. Sono laureato in Comunicazione d’impresa e ho una formazione professionale da designer, che mi ha permesso di sviluppare un approccio creativo e strategico alla comunicazione. Ho insegnato design presso la Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, esperienza che mi ha arricchito sul piano accademico e progettuale.
Ho maturato un’esperienza concreta in agenzie di marketing e comunicazione, per poi passare a occuparmi di marketing dall’interno di aziende produttrici nel settore agroalimentare. È proprio in questi contesti aziendali che ho compreso la differenza sostanziale tra parlare di un prodotto e viverne realmente l’essenza, tra raccontare una storia e farne parte quotidianamente. Questa consapevolezza mi ha portato a riflettere criticamente sulle pratiche di marketing tradizionale, spesso orientate esclusivamente al profitto e capaci di snaturare l’identità autentica di prodotti e territori.
Da questa riflessione è nata la volontà di scrivere un testo che proponga un marketing più responsabile, rispettoso e in sintonia con i valori reali delle filiere agroalimentari, capace di coniugare strategia e autenticità.
A chi si rivolge in particolare il libro?
Coltivare valore si rivolge principalmente alle piccole e medie imprese del settore agroalimentare, agli studenti interessati a questo ambito e a chi opera quotidianamente sui territori con passione e impegno. Non si tratta di imporre verità assolute, ma di offrire strumenti concreti e riflessioni da adattare ai diversi contesti e vissuti. Il libro vuole essere un punto di partenza capace di stimolare nuove idee e strategie autentiche, con la consapevolezza che ogni percorso va costruito, contestualizzato e modellato sulle specificità di persone e situazioni.
In cosa si differenzierebbe il “marketing autentico” da quello “non autentico”?
Il marketing autentico si fonda su un principio imprescindibile: la trasparenza come fondamento di una relazione sincera e duratura tra produttore e consumatore. Non si tratta semplicemente di promuovere un prodotto, ma di mettere in luce la sua identità reale, radicata nel contesto territoriale, culturale e produttivo da cui nasce. Questo approccio si distanzia nettamente da una logica puramente strumentale o di mero profitto; al centro non c’è solo la vendita, ma la costruzione di fiducia, di un patto etico che valorizza qualità, sostenibilità e la storia inscindibile del prodotto e dell’azienda.
Al contrario, il marketing non autentico si presenta spesso come un discorso vuoto e intercambiabile, privo di specificità, che potrebbe essere applicato indistintamente a una vasta gamma di prodotti. Si avvale di valori generici, talvolta stereotipati, che non riescono a instaurare un reale dialogo con il consumatore, generando aspettative illusorie e distorsioni. In questo senso, il marketing non autentico è incapace di creare quella connessione profonda che nasce dall’ascolto attento e dal rispetto delle peculiarità di ogni singolo prodotto e comunità.
Il marketing autentico, invece, invita a recuperare la dimensione della relazione vera, dove la trasparenza non è solo uno slogan, ma un impegno concreto, e dove la comunicazione diventa un atto di cura e responsabilità reciproca. È un marketing che costruisce ponti di fiducia attraverso la narrazione vera, capace di restituire al consumatore non solo un prodotto, ma un’esperienza di senso e di valore condiviso.
Packaging sostenibile: come invertire la tendenza?
Il problema è emblematico e complesso. Per invertire la tendenza serve un approccio integrato: innovazione nelle materie prime, investimenti in tecnologie di packaging biodegradabile e – per quanto possibile – assenza di packaging. Ma serve anche un cambio culturale che coinvolga produttori, distributori e consumatori. In qualità di docente di packaging, stando a contatto con quelli che saranno imprenditori, professionisti e dirigenti del futuro, credo che la vera inversione di tendenza arriverà proprio con le nuove generazioni, molto più sensibili alle tematiche ambientali. Le normative europee rappresentano un passo importante, ma la variabile decisiva resta il fattore umano: sono le scelte e i comportamenti delle persone, produttori e consumatori, che faranno davvero la differenza. Confido molto proprio nel cambio generazionale e nella sua attenzione verso la sostenibilità.
Parli di casi concreti di buon marketing in questo settore? C’è qualcuno che vuoi citare?
Nel libro ho scelto di focalizzarmi su un approccio pratico (e anche un po’ teorico) e riflessivo che possa fornire strumenti e chiavi di lettura utili a interpretare e adattare il marketing autentico alle diverse realtà. Credo che questa prospettiva aiuti le imprese a costruire strategie più consapevoli e personalizzate, piuttosto che seguire modelli preconfezionati. In questo modo, il lettore ha la libertà e gli stimoli per identificare, anche attraverso la propria esperienza, le buone pratiche più adatte al proprio contesto.
Come pensi evolverà il settore agroalimentare nei prossimi anni?
Il settore agroalimentare sta vivendo una trasformazione profonda, guidata da sfide ambientali, sociali, tecnologiche e, sempre più, geopolitiche. Le tensioni internazionali e le barriere commerciali complicano le dinamiche dell’export, spingendo le imprese a rivedere le proprie strategie per garantire stabilità e diversificazione dei mercati.
Guardando avanti, l’evoluzione del settore vedrà un’integrazione crescente tra innovazione tecnologica e valori tradizionali. Tecnologie come la blockchain e l’intelligenza artificiale miglioreranno la tracciabilità, ottimizzeranno la produzione e ridurranno gli sprechi, consentendo un’offerta sempre più aderente alle esigenze del consumatore.
Un tema cruciale sarà però la distribuzione, che oggi rappresenta spesso un ostacolo alla piena valorizzazione della territorialità. Non basta produrre localmente, bisogna ripensare le catene distributive per favorire filiere più corte e relazioni dirette tra produttori e consumatori, contrastando la standardizzazione e l’omologazione.
In parallelo, il consumatore sarà sempre più attento alla sostenibilità e alla trasparenza, richiedendo prodotti che raccontino una storia autentica e un legame vero con il territorio. Le persone, i consumatori, diventeranno protagoniste attive nel costruire e dare senso a queste storie, desiderando partecipare direttamente al processo che lega prodotto, territorio e identità. Le aziende più pronte e aperte comprenderanno che il valore fondamentale su cui lavorare è la fiducia, accogliendo con trasparenza il “controllo” e la partecipazione del consumatore. Questo nuovo rapporto, basato sulla collaborazione e sull’ascolto autentico, rappresenterà un elemento imprescindibile per costruire relazioni durature e significative.
Volendo dirla in breve, il futuro dell’agroalimentare si costruirà su un equilibrio dinamico tra innovazione digitale, responsabilità sociale e radicamento territoriale, con una distribuzione rinnovata come elemento chiave per valorizzare davvero i prodotti e mantenere la competitività.
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