Cosa significa diventare padre? Per rispondere a questa domanda, ho fatto una chiacchierata con Giovanni Salzano, autore di “12 papà. Calendario della paternità”, un libro che celebra il viaggio straordinario della genitorialità. Un passo alla volta, giorno dopo giorno, Salzano ci svela le sfumature di questa esperienza unica, tra dubbi, sorrisi e l’immenso amore che cresce insieme ai propri figli.
Da dove arriva l’idea di scrivere un “calendario della paternità”? E perché la scelta di dodici mesi per raccontare l’essere genitori?
Volevo accompagnare il lettore in un anno intero di genitorialità, attraversando stagioni, feste e momenti tipici. A dicembre, per esempio, racconto il dramma del montaggio dell’albero di Natale, mentre cerchi di ricreare il rituale perfetto dei telefilm americani… salvo poi ritrovarti con i bambini che si rotolano tra fili di minilucciole a luce calda. Ad agosto, invece, affronto la temibile “prova costume” per papà stempiati e con addominali in via di pensionamento anticipato.
Il libro si presenta con l’hashtag #12papà: che ruolo hanno i social media nella tua quotidianità di padre?
Il libro nasce proprio dai social, in particolare da “Bar Papà”, una community molto attiva su Facebook dedicata alla genitorialità consapevole. Il linguaggio e la tecnica di scrittura vengono direttamente da lì: scorrevole, ironico e con una componente emotiva forte. I social sono stati la mia palestra quotidiana, un luogo di confronto e di racconto, ma anche una lente per osservare come la paternità stia cambiando.
Il libro racconta la paternità in modo ironico ma con profondità. Come hai bilanciato questi due toni per affrontare argomenti complessi che riguardano il prendersi cura dei figli?
Credo che la leggerezza sia uno degli strumenti più efficaci per affrontare argomenti seri. Ti permette di abbattere stereotipi e resistenze, di far arrivare un messaggio senza che suoni come un’accusa o una predica. L’ironia è una porta aperta: una volta entrati, si può anche parlare di cose molto serie.
Hai detto: «La violenza sulle donne ha senza dubbio una matrice culturale. Questo è un libro leggero che, però, racconta un gender gap che è molto lontano dall’essere superato. Le donne da sempre sono considerate prima di tutto mamme e casalinghe e, se un uomo cambia il pannolino, allora è un mammo. Certe cose possono farle solo le donne. Ecco il retaggio culturale che porta dentro la matrice maschilista che è, spesso, alla base di discriminazione e violenza». Quanto è importante dunque per te che il tuo libro sia un manifesto a favore di una paternità equa e partecipativa e come pensi possa servire?
Non so se un libro da solo possa cambiare la rotta, ma sono certo che abbiamo bisogno di parole nuove, di prospettive diverse e di punti di vista che rompano l’abitudine. Se c’è il fasciatoio solo nel bagno delle donne o se a scuola esiste solo il gruppo WhatsApp delle mamme, vuol dire che la società soffre ancora di una malattia culturale. Raccontare queste cose con ironia può essere un modo per stimolare una riflessione, e magari far nascere il gruppo dei “genitori” invece che solo delle mamme. Anche se, a pensarci bene forse è meglio di no: i gruppi WhatsApp lasciamoli solo alle mamme, per carità.
Il libro si rivolge anche alle mamme. Cosa speri che le madri possano trarre dalla lettura del tuo libro, visto da una prospettiva paterna?
La nascita di un figlio è una bomba emotiva che può unire, ma anche mettere alla prova una coppia. Non sempre avvicina, a volte allontana. Spero che questo libro possa fare da ponte, aiutando i genitori a comprendersi meglio e a trovare un linguaggio comune. Se riesce a creare anche solo un pizzico di sintonia in più, ha già fatto il suo lavoro.
Quali sono state le reazioni più inaspettate da parte dei lettori, sia padri che madri, dopo la lettura del libro?
Una lettrice mi ha scritto: “Dopo aver messo a letto i bimbi, io e il mio compagno ogni sera leggiamo qualche pagina insieme e ridiamo come pazzi”. È stato uno dei feedback più belli, perché mi ha fatto capire che il libro non è solo una lettura individuale, ma può diventare un momento di complicità di coppia.
Se dovessi dare un consiglio a un futuro papà cosa gli diresti?
Io sono un disagiato cronico, quindi non so se sono la persona giusta per dare consigli. Ma se proprio devo: preparati a improvvisare, a sbagliare assai, a ridere di te stesso, all’imperfezione.
E ricordati che nessuno è mai pronto davvero: coraggio, si impara strada facendo.
Ed è una strada bellissima.
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