Chiaiano: uno sguardo d’insieme

Riprendiamo un articolo di di Cecilia Anesi e Giulio Rubino apparso su Carta (il 9 aprile) e suggerito dalla stessa Cecilia attraverso Facebook, il mezzo attraverso il quale abbiamo incontrato tanti ragazzi che condividono un potenziale positivo per questa terra, si interessano all’attualità e partecipano alla soluzione dei problemi comuni. Tutte persone che ringraziamo.

L’articolo si intitola “Lasciate ogni speranza”, e sì, a tornare il mente è proprio la “Divina Commedia” e l’inferno. Il Caronte che ci dice che dobbiamo abbandonare le speranze attraversando quel fiume. Qui non siamo nel girone dei dannati, siamo a Chiaiano.

Chiaiano centro degli scontri in piena “emergenza”, Chiaiano zona militarizzata, Chiaiano selva, Chiaiano discarica, Chiaiano troppo vicina al polo ospedaliero, Chiaiano al centro dei più grossi paesi a ridosso della provincia. Cecilia e Giulio riprendono le fila di questo discorso. Sono andati in quelle zone e ci raccontano quello in cui si sono imbattuti. Gli diamo spazio perchè la loro voce è anche la nostra.

Buona lettura e grazie a Cecilia e Giulio.

“Lasciate ogni speranza…”

E’ stata l’estrazione del tufo a «salvare» la Selva di Chiaiano, ultimo lembo di verde nella periferia napoletana. Ma qui come altrove le cave vengono usate per sversare rifiuti di ogni tipo, dalla camorra ma non solo.
La Selva di Chiaiano è l’ultimo grande polmone verde della città di Napoli. Siamo alla periferia nord est della città, in una zona che registra il più alto livello di densità abitativa d’Europa.
Un quartiere antico, cresciuto in fretta per rispondere ai bisogni dei terremotati del 1980, dove l’urbanizzazione selvaggia non ha lasciato spazio a un piano regolatore armonico che garantisse servizi e spazi verdi a sufficienza per la popolazione. La Selva è quindi una zona estremamente preziosa per la popolazione locale: un vero e proprio bosco selvaggio fra le case, una zona di centinaia di ettari che custodisce una strabiliante varietà di flora e fauna.
L’area si è finora salvata dall’edilizia selvaggia anche grazie dell’estrazione del tufo, attività per cui la zona era utilizzata fino a quindici, venti anni fa. L’estrazione ora si è fermata quasi del tutto e, con un meccanismo tristemente noto e ben spiegato nei rapporti della «Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite a esso connesse», ha seguito il destino delle cave dismesse, usate dalla camorra per il traffico dei rifiuti, come luoghi di sversamento abusivo di tonnellate e tonnellate di materiali di varia natura: dagli scarti della lavorazione edile fino a materiali tossici e pericolosi.
L’ex senatore Tommaso Sodano, già membro di quella Commissione, riassume molto chiaramente il meccanismo: «Il ciclo purtroppo è sempre stato molto chiaro, la camorra scava, e crea un buco magari anche più grande di quello che veramente necessita. A questo punto che fai? Non lo usi questo buco? E cosi la camorra li ha riempiti. Non dobbiamo dimenticare che ha sempre gestito i trasporti. Gli stessi che servivano per trasportare tufo fuori dalle cave, sono servivi per trasportare rifiuti nelle stesse. Purtroppo, nonostante la Campania sia stata commissariata per i rifiuti per ben quindici anni, non c’è mai stata la volontà di rompere questa catena».

Non solo, all’ambiente della Selva è stato richiesto un ulteriore sforzo: il Commissario all’emergenza rifiuti Guido Bertolaso ha aperto una discarica «emergenziale» proprio in una delle cave della Selva, con una decisione in deroga alla legge stessa che istituisce il Parco delle Colline di Napoli e che è stata imposta alla popolazione con la forza, come la cronaca di due anni fa ha testimoniato. È interessante notare che mentre il governo italiano era impegnato ad aprire questa discarica, e quindi a risolvere sì il problema dei rifiuti per strada, ma certamente non quello più pericoloso degli sversamenti illeciti, la Sezione aerea della guardia di finanza di Napoli stava mettendo sotto sequestro una delle cave dismesse della Selva, grande circa 300 mila metri quadrati. È stato scoperto uno sversamento di circa un milione di metri cubi di materiale, a vista, inerte. Eppure è lo stesso maresciallo Vincenzo Romano a spiegarci che «ovviamente, nel cuore dello sversamento non ci si è ancora arrivati, ciò significa che potremmo trovare nascosti anche rifiuti pericolosi. Saranno solo le caratterizzazioni fatte grazie a sondaggi che scenderanno a 40 metri di profondità [che avverranno a breve ndr], e un monitoraggio ambientale che andrà a testare il possibile inquinamento delle matrici ambientali, a dirci con certezza che tipo di sversamento è stato fatto».
Ma quello della Selva, purtroppo, non può essere considerato un caso isolato: si contano a decine le testimonianze dei cittadini che riportano di movimenti sospetti di camion notturni, con conseguenti interramenti e sversamenti. In particolare, uno dei cittadini, Pasquale Saggese, ci ha più volte accompagnati fra quei boschi, dove abbiamo potuto vedere accumuli di rifiuti di diversa natura: da calcinacci e scarti di legname fino a fusti di oli esausti, batterie d’auto che hanno riversato i loro acidi nel terreno, e montagne di scarti edili da cui emergono cumuli di tritovagliato di difficile identificazione. Il tutto abbandonato fra la vegetazione oppure nelle molteplici grotte e cunicoli che traforano la foresta.
Eppure il valore naturalistico della Selva di Chiaiano gli è valsa l’inclusione nel Parco metropolitano delle Colline di Napoli e nel Catalogo del paesaggio rurale e storico italiano. Il presidente dell’ente Parco, Agostino di Lorenzo, preoccupato dalla scelta del Commissariato di aprire una discarica, ha redatto ambiziosi piani per il recupero della Selva, proprio attraverso progetti per le cave. Di Lorenzo crede che «bisogna iniziare subito la riqualificazione ambientale, e le cave vanno occupate fisicamente subito, prima che vengano usate nuovamente in maniera illecita o straordinaria. Di questa strategia me ne assumo politicamente la responsabilità – dice – perché credo che i progetti del Parco possano portare ricchezza al territorio, restituendo un’area così importante alla collettività, senza che la gestione finisca nelle mani di pochi: siano essi estrattori di tufo o gestori di discariche. Come cittadino di Chiaiano so bene che finché c’era attività estrattiva la selva non era inquinata, il problema è quello che può essere avvenuto dopo, ma proprio per questo è importante riprendersi [come collettività, ndr] quelle cave per occuparsene e sventare la possibilità di ulteriori sversamenti».
Due dei piani del presidente del Parco delle Colline riguardano la Cava Zara e la cava Sposito. In queste grandi cave dovrebbe sorgere un complesso turistico, composto da un lago artificiale balneabile circondato da strutture di accoglienza quali ristoranti dove valorizzare i prodotti locali, imbarcazioni da diporto nel lago, sentieri naturalistici nel parco. Idee finalizzate a offrire sviluppo alla microimpresa di Chiaiano, utilizzando inoltre le risorse naturali senza sfruttarle in maniera distruttiva, al contrario valorizzandole nel tempo. L’ente parco sta procedendo in questi mesi al monitoraggio ambientale, per capire fino a che punto è stata compromessa la parte di Selva dove dovrebbero avviarsi i primi interventi.
La cittadinanza dal canto suo è molto preoccupata: teme che gli anni di abbandono e sfruttamento illegale abbiano reso impossibile pensare un parco pubblico prima che una bonifica totale e completa dell’area sia effettuata. In fondo è dai carotaggi commissionati dallo stesso ente Parco che emerge la presenza di ingenti quantità di materiale di riporto. Si parla di accumuli che arrivano a formare collinette di oltre venti metri d’altezza, e la cui composizione non è stata ancora accertata.

I timori della cittadinanza sono comprensibili quanto la premura dell’Ente Parco. Probabilmente la soluzione più augurabile è le due forze ritrovino un modo efficace di entrare in dialogo.
Se i progetti dell’Ente Parco prendessero forma cosi come sono sulla carta darebbero a Napoli uno sviluppo eccezionale, frutto di sinergie fra tutte le componenti della cittadinanza e con il potenziale per la crescita di una comunità viva e prospera.
Anche in senso culturale, la realizzazione partecipata di questi piani sarebbe il migliore antidoto contro l’abbandono e l’indifferenza, che sono poi le acque torbide in cui la Camorra trova il suo terreno più fertile.