Siamo giunti al termine di questo lungo speciale dedicato ad una coltivazione particolare e versatile: la canapa per uno sviluppo sostenibile. Ne abbiamo capito le mille applicazioni, dalla moda (qui l’articolo di Mila Orlando) all’edilizia, abbiamo conosciuto meglio la filiera e le caratteristiche grazie a numerosi esperti che hanno risposto alle nostre domande e curiosità. Questo speciale è nato da un’idea di Silvia Musso in collaborazione con Assocanapa, il Coordinamento Nazionale per la Canapicoltura. In questo articolo conclusivo vogliamo parlare delle future applicazioni della coltivazione della canapa in Campania come esempio di tecnologia avanzata e soluzione per la bonifica di territori inquinati di cui tanto spesso vi abbiamo parlato su Econote.it sin dal 2008. E per farlo ho intervistato Michele Castaldo, Referente per la Campania e Calabria di Assocanapa.
«Possiamo dire che la canapa è nel DNA degli agricoltori campani. L’Italia è il secondo produttore mondiale di canapa per quantità ed il primo per qualità, il 40% della produzione nazionale viene coltivata in Campania».
«Nel 2010 un imprenditore di Napoli e un agricoltore di Acerra hanno sperimentato, investendo di tasca propria, la produzione di olio essenziale nei dintorni dell’inceneritore (nella foto) che è stato venduto come materia prima per la produzione di profumi di un’azienda francese. Il progetto non è stato ripetuto perché (almeno al momento) antieconomico, mancano impianti di prima trasformazione per cui tutti i lavori in campo sono stati fatti manualmente incidendo notevolmente sui costi. Purtroppo circa 14 tonnellate di canapa sono state abbandonate in campo per mancanza di impianti di prima trasformazione. L’anno successivo, nel 2011, è stata coltivata sempre ad Acerra ma destinata alla produzione di mattoni di calce e canapa e di pannelli isolanti. In questo caso c’è stato il partenariato tra Ingegneri, Architetti, e Agricoltori all’interno di un progetto finanziato sempre privatamente». Qui abbiamo approfondito i “7 motivi per scegliere la canapa nell’edilizia” di Tania Talamo.
I due ettari di canapa coltivati a Caivano nel 2009 sono serviti per: testare la produzione per ettaro e verificare l’effettiva capacità della coltura senza apporti irrigui; Fornire materiale per la ricerca scientifica a Enti e Istituti di Ricerca tra cui Dipartimenti dell’Università di Napoli Federico II e l’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del C.N.R. di Pozzuoli.
«La pianta è in grado di degradare gli inquinanti come i metalli pesanti e che per una buona azione di bonifica si dovrebbe prevedere comunque un ciclo almeno decennale. Voglio ancora ricordare che la coltura è già un’azione utile e necessaria ad evitare che su terreni inquinati si coltivi ancora food».
Postilla in riferimento a questa risposta di M. Tolve, Biotecnologa (7 agosto 2013): «I metalli pesanti NON possono essere degradati, tuttalpiù possono essere accumulati nella pianta e per questo questo si indica tale pianta come un iperaccumulatore. Gli inquinanti che possono essere degradati SONO SOLO gli inquinanti organici che per qualche motivo entrano nei cicli catabolici della pianta, ovvero diventano nutrimento per la pianta e dalla loro degradazione la pianta accumula energia».
«Con l’attivazione della filiera si avrebbe (qui l’articolo sulla filiera della canapa di Silvia Musso):
Intanto, in Campania, l’interesse per questa coltura cresce sempre più, Assocanapa ha ormai un centinaio di manifestazione d’interesse e di associati, tra cui Enti e Istituzioni. Infine, ma non per ultimo, all’Università di Napoli Federico II ed alla Seconda Università di Napoli sono già state già presentate numerose Tesi di Esame di Laurea».
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