Parole dure quelle di Legambiente Taranto:
Non è ammissibile attendere, in silenzio, una valutazione del danno sanitario che a posteriori confermi quello che già oggi sappiamo riguardo i rischi per la salute. Rischi che derivano da una produzione superiore alle 6 milioni di tonnellate annue di acciaio.
Lo dicono chiaramente i dati riportati nella Valutazione del Danno Sanitario effettuata da Arpa ed Ares Puglia e dalla ASL di Taranto, che nessuno fino ad oggi ha mai confutato. Questo uno degli elementi principali alla base della scelta dell’associazione di presentare il ricorso al TAR.
Questo aspetto viene confermato anche nella risposta negativa di fine gennaio del Governo alla proposta di Accordo di programma per l’Ilva del Comune di Taranto e della Regione Puglia. Risposta avanzata dopo “aver sentito anche l’investitore”, e che indica che Mittal non ha, almeno per ora, intenzione di accettare vincoli che eccedano quelli imposti dal DPCM del settembre 2017. Da qui il rifiuto opposto a quella che era la più importante misura prevista nella proposta di accordo: una valutazione preventiva dell’impatto sanitario e ambientale riferita alla massima capacità produttiva prevista, pari a circa 10 milioni di tonnellate/anno di acciaio.
Oltre l’avvio della Valutazione di impatto sanitario, ci sono altre due questioni dirimenti, che ad oggi rimangono ancora irrisolte, sul tavolo della discussione:
– La prima e più importante, riguarda la capacità produttiva futura superiore ai 6 milioni di tonnellate/anno che – nella configurazione produttiva ipotizzata da AM InvestCo – lascia esposti i cittadini di Taranto e, soprattutto, quelli del quartiere Tamburi a rischi per la salute. Rispetto ad essa Legambiente ripropone la necessità di un’area a caldo più piccola rispetto a quanto preventivato da Mittal, e l’eventuale raggiungimento di una più elevata capacità produttiva solo a seguito di una valutazione preventiva del relativo impatto sanitario e ambientale.
– La seconda attiene ai tempi di realizzazione degli interventi previsti: la nuova A.I.A. in buona sostanza ha confermato l’impianto delle prescrizioni del Piano Ambientale del 2014, concedendo però a Mittal tempi molto più lunghi per la sua realizzazione, nonostante la sostituzione di alcune misure con altre meno impegnative, affidando di fatto la salvaguardia della salute al limite produttivo di 6 milioni di tonnellate/anno fino al completamento degli interventi prescritti.
Infine, e certo non per fare baratti inaccettabili col diritto alla salute, Legambiente torna a chiedere misure che diano una risposta economica ai cittadini del quartiere Tamburi, le cui abitazioni vengono attaccate da anni dalle polveri provenienti dallo stabilimento siderurgico senza che, per loro, sia prevista nessuna forma di risarcimento del danno economico subito, non solo in termini di maggiori oneri manutentivi e di svalutazione del patrimonio, ma anche in termini più generali connessi alla difficoltà a vivere in condizioni gravemente disagiate a causa dell’inquinamento prodotto dall’Ilva
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