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Difenderci dalla Disinformazione: Mercanti di dubbi di Naomi Oreskes ed Erik M. Conway – UN ESTRATTO

Come mai, ancora oggi, la scienza viene messa in discussione nonostante certe evidenze siano schiaccianti? Chi ha interesse a creare confusione su temi come il cambiamento climatico, la salute pubblica e la sicurezza ambientale? E soprattutto, come possiamo difenderci dalla disinformazione?

Torna in libreria per Edizioni Ambiente il best seller Mercanti di dubbi di Naomi Oreskes ed Erik M. Conway con una nuova edizione, arricchita da una prefazione di Massimo Polidoro e da un’intervista a Naomi Oreskes. Un libro fondamentale per comprendere le strategie di disinformazione che, dal fumo alla crisi climatica, hanno manipolato il dibattito pubblico per decenni.

Su Econote ne pubblichiamo un ESTRATTO, alcune pagine dall’introduzione al volume:

Introduzione

Ben Santer è il tipo di persona che nessuno potrebbe nemmeno immaginare di attaccare. È assolutamente moderato – costituzione e statura medie, temperamento e idee politiche di centro. È molto modesto, è pacato nel parlare e schivo e, dall’aspetto del suo studio presso il Lawrence Livermore National Laboratory, scarno e senza decorazioni, potrebbe essere scambiato per un contabile. Se vi capitasse di incontrarlo in una stanza con parecchia altra gente, potreste anche non notarlo. Ma Santer non è un contabile, e il mondo si è accorto di lui. È uno degli scienziati più eminenti del pianeta – nel 1998 è stato insignito del Mac Arthur “Genius Award” e lo Us Department of Energy, l’ente per cui lavora, gli ha assegnato svariati premi e riconoscimenti – perché ha fatto più di chiunque altro per dimostrare che l’attuale riscaldamento globale è di origine antropica. Da quando si è laureato, a metà degli anni Ottanta, ha cercato di capire come funziona il clima della Terra, e se sia possibile affermare con certezza che le attività dell’uomo lo stanno cambiando. Santer ha dimostrato che la risposta a questa domanda è: sì. Santer lavora come climatologo al Model Diagnosis and Intercomparison Project del Lawrence Livermore National Laboratory, un enorme progetto internazionale che raccoglie i risultati dei modelli climatici di tutto il mondo e li ridistribuisce tra i ricercatori, permettendo loro di confrontare i modelli sia con i dati reali, sia tra di loro. Negli ultimi 20 anni Santer e i suoi colleghi hanno dimostrato che la Terra si sta riscaldando, e lo sta facendo proprio nel modo previsto dalla teoria dei gas serra. Le ricerche di Santer si concentrano sulle “impronte digitali” – le variazioni climatiche naturali hanno infatti caratteristiche e lasciano tracce diverse rispetto al riscaldamento causato dai gas serra, e Santer ricerca proprio queste “impronte digitali”. La più importante coinvolge due parti distinte dell’atmosfera: la troposfera, la porzione più calda e vicina alla superficie della Terra, e la stratosfera, la parte fredda e meno densa che la sovrasta. La fisica ci dice che se il riscaldamento fosse causato dal Sole – come taluni scettici insistono a sostenere – dovremmo registrare un riscaldamento sia della troposfera sia della stratosfera, in quanto il calore proviene dallo spazio esterno all’atmosfera. Ma se il riscaldamento è causato dai gas serra, che intrappolano il calore nella parte bassa dell’atmosfera, allora dovremmo attenderci che la troposfera si riscaldi e la stratosfera si raffreddi. Santer e i suoi colleghi hanno dimostrato proprio questo, che la troposfera si riscalda e la stratosfera si raffredda. In effetti, poiché il confine tra questi due strati dell’atmosfera è definito in parte dalla temperatura, questo confine si sta muovendo verso l’alto. In altre parole, l’intera struttura della nostra atmosfera sta cambiando. Questo risultato sarebbe impossibile se il Sole fosse il colpevole, e ne consegue che i cambiamenti climatici in corso non sono naturali. La distinzione fra troposfera e stratosfera è stata discussa nel corso di un’udienza davanti alla Corte Suprema nel caso Massachusetts et al. vs. the Environmental Protection Agency, nel corso del quale 12 Stati avevano citato il governo federale per aver omesso di classificare l’anidride carbonica come un inquinante nell’ambito del Clean Air Act. Il giudice Antonin Scalia non era d’accordo – secondo lui la legge non prevedeva che l’Epa fosse obbligata ad agire nel caso in questione – ma si era sbagliato sugli aspetti scientifici, e in un punto aveva fatto riferimento alla stratosfera mentre evidentemente intendeva la troposfera. Un legale dello stato del Massachusetts aveva obiettato prontamente: “Con il dovuto rispetto, vostro onore. Non si tratta di stratosfera ma di troposfera”. Al che Scalia aveva replicato: “Troposfera o qualunque cosa sia, vi ho detto prima che non sono uno scienziato. È per questo che non voglio avere niente a che fare con il riscaldamento globale”. Ma tutti abbiamo a che fare con il riscaldamento globale, che lo vogliamo o no, e alcune persone hanno resistito a questa conclusione per molto tempo. Alcuni in particolare non hanno contestato il messaggio ma chi lo enunciava. Da quando gli scienziati hanno iniziato a sottolineare che il clima della Terra si stava riscaldando – e che il riscaldamento era causato dalle attività umane – molte persone hanno cominciato a contestare i dati, a dubitare delle evidenze e ad attaccare gli scienziati che si occupavano di raccogliere e di spiegare i fatti all’opinione pubblica. E nessuno ha subito attacchi più brutali e più ingiusti di Ben Santer. L’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) è l’autorità mondiale sui temi climatici. È stato fondato nel 1998 dalla World Meteorological Organization e dallo United Nations Environmental Programme dopo che si erano manifestati i primi segnali del riscaldamento globale. Gli scienziati sapevano da tempo che l’accumulo dei gas serra a seguito dell’uso di combustibili fossili avrebbe potuto causare un cambiamento climatico – lo avevano spiegato già nel 1965 al presidente Lyndon Johnson – ma la maggioranza di loro riteneva che questi effetti si sarebbero manifestati in un futuro lontano. Tuttavia, attorno agli anni Ottanta cominciarono a preoccuparsi – a pensare che forse il futuro fosse già arrivato – e qualche scienziato, nonostante l’opinione della maggioranza, iniziò ad affermare che il cambiamento climatico antropogenico fosse già in corso. L’Ipcc venne creato proprio per valutare le prove e per stimare i possibili impatti che si sarebbero potuti verificare se questi scienziati “dissidenti” avessero avuto ragione. Nel 1995 l’Ipcc dichiarò che l’impatto dell’uomo sul clima era “discernibile”. Non si trattava più di pochi individui isolati: l’Ipcc era cresciuto e comprendeva ormai centinaia di scienziati di tutto il mondo. Ma come facevano a sapere che il clima stava cambiando, e come facevano a sapere che la causa eravamo noi? La risposta a questioni così cruciali si trova in Climate Change 1995: The science of Climate Change, il secondo rapporto rilasciato dall’Ipcc. Il capitolo 8, “Detection of Climate Change and Attribution Causes”, raccoglieva le prove che dimostravano che il riscaldamento climatico era effettivamente provocato dai gas serra. Il suo autore era Ben Santer. Le sue credenziali scientifiche erano assolutamente impeccabili, e il suo comportamento era sempre stato irreprensibile. Ciononostante, un gruppo di fisici collegati a un think tank di Washington D.C. lo accusò di aver manipolato il rapporto in modo da far risultare che la scienza fosse più solida di quanto in effetti era. Prepararono un documento che accusava Santer di aver “edulcorato la scienza”, rigettando le tesi di chi non era d’accordo. Assemblarono rapporti dai titoli come Greenhouse Debate Continues e Doctoring the Documents che vennero pubblicati su periodici come Energy Daily e Investor’s Business Daily. Scrissero ai membri del Congresso, a funzionari del Department of Energy e alle riviste scientifiche per amplificare le accuse. Attraverso i loro contatti al Department of Energy chiesero che Santer fosse licenziato. Un editoriale sul Wall Street Journal ebbe più risonanza. Accusava Santer di aver modificato il rapporto per “ingannare i politici e l’opinione pubblica”. Santer aveva modificato il rapporto, ma non per ingannare qualcuno. Lo aveva fatto dopo che i suoi colleghi, scienziati come lui, avevano terminato la loro revisione e gli avevano mandato i loro commenti. Ogni articolo o rapporto scientifico deve infatti passare il vaglio critico di altri esperti: è la peer review. Gli autori devono tenere conto delle osservazioni e dei commenti dei revisori e devono correggere gli eventuali errori riscontrati. È l’etica di base del lavoro scientifico: nessuna affermazione può essere considerata valida – neppure potenzialmente – sino a che non è passata attraverso la peer review. La peer review serve anche ad aiutare gli autori a chiarire meglio alcuni passaggi, e l’Ipcc adotta un procedimento di peer review eccezionalmente rigoroso. Coinvolge sia gli esperti scientifici sia i rappresentanti dei governi delle nazioni partecipanti, che devono fornire giudizi e interpretazioni adeguatamente documentati e corretti, e prevede che vengano ascoltate tutte le parti interessate. Agli autori si richiede di apportare le modifiche richieste dai revisori oppure di spiegare perché le osservazioni ricevute siano considerate irrilevanti, non valide o semplicemente errate. Santer aveva fatto esattamente questo. Aveva apportato le modifiche richieste dopo la peer review. E aveva fatto quello che le regole dell’Ipcc prevedevano facesse. In altre parole, Santer era stato attaccato perché si era comportato da bravo scienziato. Santer tentò di difendersi con una lettera al Wall Street Journal sottoscritta da 29 coautori, tutti illustri scienziati, tra cui il direttore dello Us Global Change Research Program. La American Meteorological Society pubblicò una lettera in cui affermava che gli attacchi a Santer erano completamente infondati. Bert Bolin, fondatore e presidente dell’Ipcc, sostenne la posizione di Santer in una lettera al WSJ, in cui sottolineava che le accuse erano del tutto prive di fondamento, che quanti lo accusavano non avevano mai contattato né lui né gli altri componenti dell’Ipcc e non avevano neppure consultato gli altri scienziati per verificare i fatti contestati. Bolin affermò che “se solamente avessero provato a capire le regole e le procedure dell’Ipcc, avrebbero capito immediatamente che non era stata violata alcuna regola, non era stata violata nessuna procedura e non era successo nulla di scorretto”. Come sottolineato in seguito da diversi commentatori, nessun Paese membro dell’Ipcc ebbe nulla da eccepire. Ma il Journal pubblicò solo una parte delle lettere di Santer e Bolin, e due settimane dopo diede modo agli accusatori di spargere altro fango, pubblicando una lettera nella quale si affermava che il rapporto dell’Ipcc era stato “manomesso per scopi politici”. Il fango si accumulò e le accuse furono riprese da gruppi industriali, giornali finanziari, riviste e think tank. Le tracce sono ancora presenti su Internet. Se cercate su Google “Santer Ipcc” non sarete indirizzati al capitolo scritto da Santer – tanto meno al rapporto dell’Ipcc – ma a una galassia di siti che riprendono le accuse del 1995. Uno di questi siti riporta (mentendo) che Santer ammise di aver “aggiustato i dati per adattarli all’indirizzo politico”, come se il governo degli Stati Uniti avesse avuto una policy sul clima volta ad aggiustare i dati (non l’avevamo nel 1995 e non l’abbiamo neppure oggi). L’esperienza fu amarissima per Santer, che spese tempo ed energie per difendere la propria reputazione scientifica e la propria integrità, oltre che per evitare che il suo matrimonio andasse in pezzi (non ci riuscì). Oggi, questa persona dai modi gentili si infuria al ricordo di quegli avvenimenti. Nessuno scienziato, quando abbraccia questa professione, si aspetta che possano accadergli cose simili. Perché gli accusatori di Santer non si preoccuparono di verificare come stavano effettivamente le cose? Perché hanno continuato a ripetere le loro accuse anche dopo che era emerso che erano infondate? La risposta ovviamente è che non erano interessati ai fatti. Erano interessati a combatterli. Qualche anno più tardi, Santer s’imbatté in un articolo su un quotidiano che descriveva un gruppo di scienziati che avevano preso parte a un programma, organizzato dall’industria del tabacco, volto a screditare le evidenze scientifiche che collegano il tabacco al cancro. L’idea, spiegava il giornale, era quella di “mantenere aperta la controversia”. Fino a quando fossero rimasti dei dubbi sul nesso causale, l’industria del tabacco sarebbe stata al riparo da controversie e cause legali. A Santer la storia suonò piuttosto familiare. Naturalmente aveva ragione. Ma c’era dell’altro. Non solo la tattica era la stessa, ma anche i protagonisti erano gli stessi. Gli attacchi di cui era stato fatto oggetto provenivano soprattutto da due fisici in pensione: Frederick Seitz e S. (Siegfried) Fred Singer. Seitz era un fisico dello stato solido che aveva contribuito alla costruzione della bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale; in seguito era diventato presidente della Us National Academy of Sciences. Anche Singer era un fisico – un genio, per inciso – e aveva avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo dei satelliti per l’osservazione terrestre. Era stato direttore del National Weather Satellite Service, e poi dirigente scientifico del Department of Transportation dell’amministrazione Reagan. Entrambi potevano essere considerati dei “falchi”, anticomunisti ossessionati dalla minaccia dell’Unione Sovietica e dalla necessità di difendere gli Stati Uniti con armamenti ad alta tecnologia. Entrambi erano soci del George C. Marshall Institute, un think tank conservatore di Washington D.C. fondato per sostenere la Sdi (Strategic Defense Initiative) voluta da Reagan e conosciuta come “Star Wars”. Entrambi avevano lavorato per l’industria del tabacco, seminando dubbi sulle evidenze scientifiche che collegavano fumo e patologie. Dal 1979 al 1985 Fred Seitz diresse un programma della R. J. Reynolds Tobacco Company che distribuì 54 milioni di dollari a scienziati in tutto il Paese. Quei soldi vennero spesi per finanziare ricerche biomediche volte in realtà a individuare esperti e a produrre evidenze che potessero essere usate per difendere il “prodotto” nei tribunali. Alla metà degli anni Novanta Fred Singer fu coautore di un imponente rapporto che attaccava la posizione dell’Environmental Protection Agency sui rischi del fumo passivo. Alcuni anni prima, lo Us Surgeon General aveva dichiarato che il fumo passivo era pericoloso non solo per i fumatori, ma anche per le altre persone esposte. Singer partì all’attacco: dichiarò che gli studi erano stati truccati e che la rassegna Epa – curata dai principali scienziati del Paese – era stata distorta da un’agenda politica che puntava a espandere il controllo del governo su ogni aspetto delle vite dei cittadini. Il rapporto di Singer contro l’Epa fu finanziato dal Tobacco Institute, e i soldi vennero erogati attraverso un altro think tank, la Alexis de Tocqueville Institution. Milioni di pagine di documenti presentati durante le cause contro le aziende produttrici di tabacco attestano questi legami. In particolare, emerge il ruolo cruciale svolto dagli scienziati nel seminare dubbi sui legami tra fumo e rischi per la salute. Questi documenti – che sono stati studiati poco, eccetto che dai legali e da uno sparuto gruppo di accademici – mostrano che la stessa strategia è stata impiegata contro il riscaldamento globale, ma anche contro un lungo elenco di emergenze ambientali come asbesto, fumo passivo, piogge acide e buco dell’ozono. Possiamo definirla “la strategia del tabacco”. Il suo bersaglio è la scienza e si basa sull’impiego di scienziati – guidati da avvocati assoldati dall’industria e da esperti di pubbliche relazioni – disposti a puntare il fucile e a premere il grilletto. Tra i tanti documenti che abbiamo consultato per scrivere questo libro c’è Bad Science: A Resource Book. Si tratta di un manuale per chi vuole intorbidire i fatti: oltre a fornire innumerevoli esempi di strategie che sono state usate per attaccare la scienza, presenta una lista di esperti con solide credenziali scientifiche pronti a mettersi al servizio di think tank o aziende. E così, un caso dopo l’altro, Fred Singer, Fred Seitz e un manipolo di altri scienziati hanno cooperato con think tank e aziende private per screditare le evidenze scientifiche su svariati argomenti. Nei primi anni la maggior parte del denaro proveniva dall’industria del tabacco; in seguito soprattutto da fondazioni, think tank e dal settore dei combustibili fossili. Singer e gli altri sostenevano che il legame tra fumo e cancro non fosse provato, e che gli scienziati esageravano i rischi dell’adozione della Sdi. Dichiaravano che le piogge acide erano causate dai vulcani, idem per il buco dell’ozono. Accusavano la Epa di aver alterato i dati sul fumo passivo. Di fronte alle montagne di prove sul riscaldamento climatico hanno prima sostenuto che non esisteva, poi che si trattava di una normale variazione naturale, e infine che, se anche ci fosse e fosse causato da noi, non c’era da preoccuparsi in quanto saremmo riusciti ad adattarci senza particolari difficoltà. Un caso dopo l’altro, hanno lavorato senza sosta per negare l’esistenza di un sostanziale consenso a livello scientifico, anche se, alla fine dei conti, gli unici a non essere d’accordo erano solo loro. Questo gruppuscolo sarebbe potuto anche passare inosservato, ma in molti gli hanno prestato attenzione. Queste persone avevano contribuito ai programmi di armamento durante la Guerra fredda, erano conosciute e stimate a Washington D.C., e sono riuscite a farsi ascoltare dai centri di potere e dalla Casa Bianca. Nel 1989, solo per fare un esempio, Seitz e altri due protagonisti della nostra storia, i fisici Robert Jastrow e William Nierenberg, scrissero un rapporto in cui mettevano in dubbio le evidenze del riscaldamento globale. Immediatamente furono invitati alla Casa Bianca per riferire all’amministrazione Bush. Un membro del Cabinet Affair Office dichiarò: “Tutti hanno il rapporto. Tutti lo hanno preso in seria considerazione”. Il governo Bush non era l’unico soggetto che dava spazio alle loro tesi. Testate prestigiose come il New York Times, il Washington Post, Newsweek e molte altre riportavano le loro affermazioni come se fossero espressioni di un punto di vista diverso nel dibattito scientifico in corso. Dopodiché, queste affermazioni venivano riprese e rilanciate più e più volte – come in una cassa di risonanza – da un gran numero di persone impegnate in pubblici dibattiti, da blogger, da senatori, oltre che dal presidente e dal vicepresidente degli Stati Uniti. In tutta questa vicenda, il pubblico e la stampa non capirono che non si trattava di un dibattito scientifico, come quelli che si svolgevano nelle università fra ricercatori impegnati su questi temi, ma il prodotto di una strategia di disinformazione che era cominciata con il tabacco. Questo libro racconta la storia della “strategia del tabacco”, di come sia stata usata per attaccare la scienza e gli scienziati e di come sia stata impiegata per distorcere questioni fondamentali per le nostre vite e per il futuro del pianeta su cui viviamo. Purtroppo, l’episodio di Santer non è isolato. Quando cominciarono ad accumularsi le prove del buco dell’ozono, Fred Singer contestò Sherwood Rowland – premio Nobel e presidente dell’American Association for the Advancement of the Science, il primo a comprendere che alcuni composti chimici (Cfc) potevano distruggere lo strato di ozono stratosferico. Quando uscì un articolo da cui sembrava che Roger Revelle avesse cambiato idea sul riscaldamento globale, Justin Lancaster, uno studente di dottorato, iniziò a darsi da fare per ristabilire la verità dei fatti. Singer reagì, e intentò una causa per diffamazione contro Lancaster (la mancanza di fondi per difendersi indusse Lancaster a patteggiare, cosa che gli rovinò vita e carriera scientifica). Dietro alle campagne condotte con più accanimento c’erano soprattutto Fred Seitz e Fred Singer, due fisici. Erano fisici anche William Nierenberg e Robert Jastrow. Nierenberg, direttore della prestigiosa Scripps Institution of Oceanography e membro del gruppo di transizione di Ronald Reagan, aveva il compito di individuare gli scienziati da inserire in importanti posizioni nell’amministrazione. Come Seitz, anche Nierenberg aveva collaborato alla costruzione della bomba atomica, e durante la Guerra fredda aveva lavorato a vari programmi sugli armamenti. Jastrow, valente astrofisico molto noto al pubblico, aveva partecipato ai programmi spaziali in qualità di direttore del Giss (Goddard Institute of Space Studies). Questi uomini non avevano nessuna competenza specifica sulle questioni ambientali o su quelle relative alla salute, ma avevano potere ed erano influenti. Seitz, Singer, Nierenberg e Jastrow hanno ricoperto incarichi di alto livello nell’amministrazione della scienza e hanno lavorato con ammiragli, generali, membri del Congresso, senatori e anche presidenti. Avevano familiarità con i media e sapevano cosa fare perché le loro opinioni venissero pubblicate, e naturalmente sapevano anche come fare pressione per evitare che i media diffondessero informazioni sgradite. Hanno sfruttato le loro credenziali scientifiche per cementare la propria autorevolezza e l’hanno poi usata per screditare la scienza che andava contro i loro interessi.
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