Moltitudine inarrestabile

Questa settimana vi abbiamo suggerito da Lankelot

Calore! e Apocalisse quotidiana entrambi di di George Monbiot, giornalista, ambientalista e attivista politico inglese.

E Davide Enia con Mio padre non ha mai avuto un cane.

Oggi vi proponiamo Hawken Paul (ecologista, imprenditore e giornalista americano) con Moltitudine inarrestabile. Come è nato il più grande movimento al mondo e perché nessuno se ne è accorto.

Paul Hawken insegna: la più potente forza rivoluzionaria del tempo nostro è imprevedibile, eterogenea, deideologizzata e radicata in tutte le nazioni; è quella delle organizzazioni e delle associazioni che rivendicano sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Questa forza dà vita a un movimento “frammentato, non organizzato e orgogliosamente indipendente”; interconnesso (via Web) ed estraneo a leader o capi carismatici: niente manifesto, niente dottrina. Linee di condotta: difesa del pianeta, lotta contro il degrado ecologico, rivendicazione dei diritti dei cittadini. È unito dalle idee, non dalle ideologie. Perché “le idee fanno domande e liberano; le ideologie giustificano e comandano” (p. 46). Il movimento è pragmatico, non utopico (p. 49). Pretende coinvolgimento e compassione, non fedeltà a un dogma o a un partito. Domanda partecipazione, non vuota simpatia.

Si tratta del movimento sociale più grande della storia (“il movimento dei movimenti” secondo la madrina del “No Logo”, Naomi Klein). Ha tre radici, spiega Hawken, necessariamente interdipendenti: l’attivismo ambientalista, le iniziative per la giustizia sociale, la resistenza delle culture indigene alla globalizzazione (p. 42). Perché si è creata questa convergenza dal sapore della progressiva assimilazione?

“Un nativo americano mi spiegò che la separazione fra ecologia e diritti umani è artificiale, che i movimenti ambientalisti e quelli per la giustizia sociale affrontano due aspetti dello stesso, grande dilemma. I danni inflitti alla Terra ricadono su tutte le persone e il modo in cui un uomo tratta un altro uomo si riflette sul nostro modo di trattare il pianeta” (p. 30). Questa è una visione solo apparentemente mistica. E così, è necessario ribadire che nessun uomo può essere ridotto in schiavitù, tenuto in condizione di servitù, torturato; nessuno può essere arbitrariamente imprigionato o esiliato. Tutti gli uomini hanno diritto a educazione, mezzi di sussitenza ed eque condizioni lavorative: si rimane fedeli alla lettera della Dichiarazione universale dei diritti umani ratificata dalle Nazioni Unite nel 1948. Sic et simpliciter. Oggi è rivoluzionario.

Sostiene Hawken che sebbene non esista un collegamento tra povertà e cambiamenti climatici, entrambi abbiano radici comuni: perché noi “siamo la natura, in ogni nostra molecola e neurone. Conteniamo argilla, minerali e acqua; traiamo il nostro nutrimento dal sole attraverso le piante e siamo strettamente collegati a tutte le altre specie, dai funghi ai marsupiali e ai batteri” (p. 110).

Assieme alla natura, si difendono lingue e culture in via di estinzione. Perché se oggi 362 specie di animali e di uccelli sono “in pericolo critico”, 438 sono le lingue a rischiare la sparizione: le parlano meno di 50 persone. Assieme (p. 134), ci sono 6.800 lingue espressione di culture che domandano sopravvivenza. Ogni anno spariscono circa 30 culture (p. 135), con grave danno della memoria e del patrimonio delle nuove generazioni. Stesso accade nell’alimentazione: “Quando perdiamo un sapore, perdiamo una ricetta; quando si perde una ricetta, si perde l’uso di un alimento naturale; quando si perde l’uso di un alimento, anche la coltivazione e l’origine di quell’alimento vanno perse; quando la produzione di un alimento viene persa, sono persi anche i semi o la razza rara; e quando si perde la produzione degli alimenti locali, le persone sono costrette a consumare cibi prodotti da multinazionali in luoghi lontani” (p. 207).

“Causa primaria dell’estinzione di specie e culture è la globalizzazione, la ricerca del progresso attraverso l’estrazione di risorse e l’espansione economica” (p. 144). Morale della favola, il sentiero di lotta è quello dell’autonomia nella diversità (cfr. pagine sul WTO, almeno p. 166 e ss.)

La recensione completa su Lankelot