Ma sarebbe interessante comparare questi numeri con le diverse abitudini culturali dei popoli presi considerati dalla ricerca. Può sembrare infatti paradossale che l’Italia venga incoronato paese più pulito quando la città di Napoli è a rischio epidemia a causa del problema dei rifiuti. Ci dovremmo quindi immaginare la donna di casa (o anche l’uomo) di Pianura o Quarto che si impegna a tirare a lucido la cucina, che conduce uno sterminio di colonie di acari in salotto o che magari è intenta a scovare “i nemici del pulito” tra i servizi igienici del suo bagno, quando basta aprire la porta per ritrovarsi a respirare diossina o gas nocivi prodotti dalla fermentazione dei rifiuti. Tutto questo senza assolutamente notare l’incongruenza.
Le città del Nord Europa sono inoltre conosciute anche per la loro grande cura degli spazi aperti, quelli che vengono fruiti da più persone, quelli che sono di tutti e non sono di nessuno ma sui quali si è venuto a sviluppare nei secoli un ethos condiviso di mutuo rispetto. Sarebbe come dire: “hanno anche le case sporche ma per strada nessuno getta una carta in terra”. Questo ci porta ad un altro importante spunto di riflessione, il rapporto tra l’interno e l’esterno, il pubblico e privato. Il proprio spazio vitale deve essere pulito, i confini all’interno dei quali si vive con i propri cari vengono tenuti immacolati fino alla ossessione, si soggettivizza il proprio spazio e questo deve finire per rispecchiare (a volte nel senso letterale del termine) la propria idea di purezza.
E gli spazi pubblici? Le strade? I parchi? I giardinetti? Questi probabilmente non si sentono propri e varcata la linea di confine (prima di tutto simbolica) della propria dimora si accede ad una terra di nessuno. I luoghi pubblici sono visti più come spazi che non ci appartengono e visto che non sono nostri, in questi posti ci viene più facile sversare qualsiasi tipo di rifiuto, immondizia o impurità. Si può innescare anche un meccanismo opposto, se gli spazi pubblici sono di tutti ognuno può rivendicare il proprio diritto di usarlo, anche se molto questo corrisponde a sporcarlo o danneggiarlo,comunque a fare altre cose che all’interno della propria casa, del proprio giardino, o del proprio cortile non ci si sognerebbe neppure lontanamente di fare.
Commentando quindi lo studio della Datamonitor potremmo concludere che il significato dell’azione sociale deve essere compreso all’interno di una complessa rete di significati considerata nella loro genesi storico-sociale. Il comportamento del soggetto, in questo caso la cura che riserva alla propria casa, non dovrebbe quindi trascendere dal rapporto che questo instaura con lo spazio nel quale abita.
Per approfondire:
A. Giglia, Crisi e ricostruzione di uno spazio urbano dopo il bradisismo a Pozzuoli: una ricerca antropologica su Monteruscello, Guerini e Associati, 1997
A. Signorelli, Antropologia urbana. Introduzione alla ricerca in Italia, Guerini Studio, 1996
M. Douglas, Purezza e pericolo. Un’analisi dei concetti di contaminazione e tabù, Il Mulino, 2003
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