Giornata di munnezza #3 – Racconto

Iniziò tutto con poche gocce.
Ma poi iniziò a cadere una pioggia fittafittafitta. Le gocce andavano a costellare i lineamenti goffi del suo viso. A passo lento, occhi sbarrati, arrivò all’ingresso della discarica. Presidiata. Ovvio che fosse così. Prese una stradina laterale, sterrata, che portava in un campo. A destra, notò la carcassa putrefatta di una pecora. Morta di diossina, sicuro.
Proseguì, gli pulsavano le tempie. Un passo davanti all’altro, tagliando con la faccia i ramoscelli degli alberi. Una lacrima gli solcava il viso. Aveva fatto il giro largo, ora davanti aveva solo una montagnola di rifiuti, poi avrebbe raggiunto il suo obiettivo: la discarica.

Piantò i piedi a terra, con forza. Preso dall’isteria, iniziò a gridare: “E allora? Allora?”, urlava. “Nun’ agg’ capit, è mai possibile che cca’, a Napule, amma murì p’à munnezz?”. Sgomento tra le persone che si erano raggruppate a poco a poco all’esterno della discarica. Nel mormorio generale tutti presero posto allo spettacolo. Cinque ragazzi su due motorini si erano guadagnati il posto in prima fila, da dietro alla curva un Transalp arrivava da lontano. Gomitate, spintoni, sguardi d’intesa “Guarda a chill che sta facenn”. Più alta del trambusto la voce femminile “Chiammate a Filumena, o’ marit sta facenn o’ pazz”.
Allora? Nun o’ ssacc chell ca sto ffacenn, ma sicuramente è meglio che sta accussì”. Si dimenava, strabuzzando gli occhi. Due uccelli malmessi prendevano il volo dal ramo ammosciato di un alberello.
Non è giusto, non dovevamo finire così” rivolto alla folla “Avete visto? Amm perz tutt quant”.
Aveva tirato fuori dal cilindro una citazione quasi gaberiana e neanche poteva saperlo. La moglie, sentendolo parlare, iniziava a inorgoglirsi. “Quello è mio marito. Mio marito”, diceva con una puntina di snobismo alle vicine di basso. Quelle pure lo ammiravano, non guardavano neanche più i loro mariti, che non avevano mai pensato ad un gesto simile. E invece Enzuccio aveva fatto ben altro. Si era spinto oltre. Ed ora era lì, bello come il sole, con la tuta dell’adidas contraffatta addosso, i capelli lunghi aggiustati con il finesse, la catenina d’oro e la panza sotto che ballava come posseduta da un demonio.

Ma le parole sembrava averle già finite. Girati a destra, girati a sinistra, hai una pistola nella mano e non sai più che dire. Black out. Chi ha staccato la spina?! Enzuccio non parlava più, mentre un centinaio di persone, ormai, aspettavano lì fuori che accadesse qualcosa da raccontare la sera alle creature a casa. Fermo. Immobile. Il sudore gli scendeva a rivoli sulla fronte. Il cervello gli andava avanti a piccoli flash back, input sparsi qua e là tra i neuroni che viaggiavano a mille.
Non parlava. Non parlava più. Tutti aspettavano, curiosi. E se fuori c’era il silenzio, dentro era l’apocalisse verbale. Tutto un sovrapporsi di informazioni smozzicate percepite da radio e tv, più le voci del fruttivendolo e il riassunto di Studio Aperto. Ma anche la lettura dei giornali e di qualche libro che ultimamente aveva preso in biblioteca, per approfondire l’argomento. Perché capita, se per anni hanno ridotto la tua terra uno schifo, di aver voglia di capirci qualcosa in più. Una serie di parole e riflessioni slegate, sconnesse, un fiume in piena di frasi che non sembrava trovare facile sbocco verso il mare. Tutto, soltanto, nel buio più buio della sua mente.

Sommersi dai sacchetti. Tanfo nauseabondo. Niente più mezzi pubblici. Niente vita normale. Tumori. Gente incazzata. No ai termovalorizzatori. Non esistono termovalorizzatori a norma. I termovalorizzatori inquinano. Ho sentito del trattamento meccanico biologico, ma che è? Esportiamo rifiuti? Se sì, dove? E perché siamo ancora sommersi dall’immondizia? Le altre regioni mica li prendono gratis i nostri rifiuti? E mica i nostri rifiuti saranno smaltiti illegalmente con enormi danni alla salute, come invece per anni hanno fatto a discapito del nostro territorio e della nostra salute? Difficile fare lo spazzino in queste ultime settimane? Perché poi non sono andato in America? Non si può parlare di emergenza quando questo schifo dura da anni. Non si può decidere di aprire una discarica, dove per circa 40 anni hanno sversato sostanze tossiche da tutta Europa, senza attrezzarla adeguatamente e soprattutto in tempi così brevi. Bravi i dimostranti, ma qui ci sono anche i delinquenti. Li paga la camorra per fare casino. Io non sono un delinquente. Io ho solo paura. Paura di non potere dare un futuro ai miei figli. I miei figli un futuro non ce l’hanno. E poi dicono che qui la discarica è davvero tossica. Cioè neanche lo dicono, si sa e mio padre è morto mia madre all’ospedale. Qui mi muoiono tutti attorno ed io ancora non mi sono deciso a scappare da questa merda di città, aspetto e resto fermo immobile piantato ben saldi i piedi nel terreno. Non so perché forse San Gennaro forse aspetto la grazia forse non so forse tutti aspettiamo e soffriamo perché abbiamo sempre sofferto nella nostra vita tutti sono sempre venuti e hanno fatto i porci comodi loro tanto qui basta ca ce sta o’ sole e o mare e stiamo a posto ma non è più così cazzo non deve essere più così e io non volevo arrivare a questo punto ma mi ci avete costretto siete felici? Ora vi ritrovate un pazzo sudato e con una pistola che grida e si sbatte nel bel mezzo di una discarica che più tossica non si può. Alcuni che lavorano qui intorno qui nei paraggi dicono addirittura che hanno visto le ruspe lavorare e dalle voragini scavate hanno trovato camion interi con rifiuti tossici cioè non solo i rifiuti ma tutti i camion pare fossero cinque cinque camion INTERI con i rifiuti dentro rifiuti tossici dentro che io poi mi ritrovo anche dentro le cose che mangio. Vedete voi se deve essere mai possibile una cosa come questa la dicono addirittura che qui sotto hanno trovato anche una balena non intera ma solo la carcassa capite che significa avevo una balena a due passi da casa e non ne sapevo nulla e qui pare che nessuno sa mai nulla e il commerciante non sa nulla e l’avvocato non sa nulla e il funzionario intasca i soldi e non fa nulla il dirigente non sa nulla e l’assessore non sa nulla e il membro della giunta non sa nulla e nemmeno il vicesindaco sa nulla per non parlare poi del Sindaco che non sa proprioproprio nulladinulla. Uagliù, qua non si capisce più niente. Qua l’affare è grosso, ma grosso veramente. Noi dormiamo, dormiamo sempre. Facciamo i pulcinella, i fessi e contenti, quelli che ridono sempre e cantano sempre. A me però ora il culo bruciaaaaaaaaaaaaaa! Brucia sul serio. E non brucia solo il culo ma anche l’immondizia. E più brucia più non si respira. Perché chi respira muore. Il quartiere è chiuso all’interno e all’esterno. Uscire è un’utopia gli autobus non passano (perché prima sì?) chi entra non sa se esce. Io volevo entrare, uscire. Che volevo fare? Forse andare. Vorrei essere altrove. Sogno di essere altrove. Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono napoletani. Mi faceva sempre ridere la battuta in qualche programma di qualche anno. Oggi mi fa ridere di meno. Munnezza, munnezza, ancora munnezza. Napoli vergogna d’Italia, del mondo. Al momento qui nella mia città ci sono 100.000 bambini che non vanno a scuola. I rifiuti continuano ad ammassarsi, mentre l’emergenza è ancora lì, emersa fino allo schifo. Vent’anni di vergogne, non vi vergognate? Tutto qui, sotto i nostri occhi. Non la voglio più, no. La mia famiglia non lo merita. I miei figli non lo meritano. I napoletani non lo meritano, capito?
Ito?
Ito?
Ito…..”

Rimbombò tutto, come una bomba appena esplosa. Come il Vesuvio. Qualcuno lo aveva pure detto: i rifiuti di Napoli? Dentro al cratere, e chi s’è visto s’è visto. E poi ci fu il silenzio. Un assordante silenzio. Enzuccio guardò sua moglie, sudato. Sua moglie guardò i poliziotti, sgomenta. I poliziotti si guardarono prima tra di loro, poi guardarono Enzuccio, incazzati ma anche compassionevoli. Come non capirlo, Enzuccio. Il rumore delle pale di un elicottero, nel cielo, era assordante.

Aveva preso in ostaggio un sacchetto. Ora gli puntava la pistola alla testa, tra l’incredulità generale. Una presunta testa, perché un sacchetto non ha testa né cervello, né braccia né gambe. Certo, Enzo aveva sempre un’arma nella mano destra ma non sembrava pericoloso. Non avrebbe fatto male a nessuno, certo non più di quei cumuli di immondizia spalmati sulle strade. Non più della camorra o del racket. Non più dei politici e dei politicanti che amministravano da quindici anni la sua terra.
Fu così che decise di premere il grilletto. Non sparò al sacchetto, intorno ce n’erano così tanti. Sparò a se stesso.
E tutto diventò nero, all’improvviso. Nero come una busta d’immondizia.

FINE

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