Carovigno, la “Città della ‘Nzegna”

Di Marina Indulgenza e Gennaro Carotenuto

Carovigno, in provincia di Brindisi, è una cittadina di circa 15 mila abitanti che vanta origini molto antiche.

Città della Iapigia di origine Messapica, era nota con il nome di Carabina (dal greco “carpina” che significa “fruttifera”) e, successivamente, in epoca romana con il nome di “Corvineum”. Fu soggetta a varie dominazione a seguito della caduta dell’Impero Romano d’Occidente – longobarde, normanne, angioine, aragonesi – e divenne feudo di varie famiglie nobiliari.

Carovigno è soprattutto nota per essere la “Città della ‘Nzegna,  appellativo che trae le sue origini da un’antica leggenda che, nel corso dei secoli, ha dato origine a una consolidata tradizione che si rinnova, ogni anno, nel periodo pasquale.

Questa leggenda racconta che, intorno al 1100, un signore di Conversano, afflitto da una sorta di paralisi, sognò la madonna vestita di stelle che gli diceva di arrivare fino a Carovigno per renderle omaggio e guarire così dalla sua malattia. Il signore si fece quindi condurre a Carovigno, ma della vergine nessuna traccia. Verso sera, sulla via del ritorno, incontrò un pastore che chiedeva aiuto perché aveva perso una delle sue mucche. I servitori del signore aiutarono il pastore nella ricerca fino a quando sentirono un muggito provenire da  un rovereto e, spostandolo, si accorsero di trovarsi davanti all’ingresso di una grotta. Una volta entrati trovarono, come prima cosa, l’immagine di una vergine. Il signore si fece calare nella grotta e, riconoscendo in quell’immagine la stessa che aveva sognato, fu guarito dalla sua malattia. Per festeggiare e comunicare a tutti la scoperta, i servitori presero il fazzoletto che il pastore teneva al collo, lo legarono a un bastone e cominciarono a lanciarlo in aria perché, quel segno che squarciava il cielo, potesse far capire che qualcosa era successo.

Il segno diventò la ‘nzegna, ovvero la tradizione di bandiera religiosa più antica presente in Italia perché questa riporta, come stemma, una serie di triangoli, di sette colori differenti, provenienti dalla tradizione greca, con al centro una rosa a dieci petali che è una chiara rappresentazione mariana. Anticamente la bandiera veniva realizzata andando a chiedere, casa per casa, piccoli pezzi di seta che andavano poi sistemati e cuciti insieme.

 

La battitura dalla ‘nzegna avviene in uno spazio circolare intorno al quale si riunisce la popolazione e al cui centro si posizionano i due battitori accompagnati dal suono di una pizzica, un ritmo molto preciso e ben scandito per una gestualità altrettanto precisa che segue una serie ben definita di ripetizioni. I battitori vestono gli abiti civili del tempo a cui appartengono perché, pur essendo figli di una tradizione che viene da lontano, non intendono rievocare quel determinato momento ma vogliono rinnovarlo nella contemporaneità.

La tradizione della ‘nzegna si ripete tutti gli anni a Carovigno il Lunedì in Albis e il sabato dopo la Pasqua ad opera di due battitori, in tre punti diversi del paese: al confine, nel centro e presso il Santuario dedicato alla Vergine Maria SS.ma del Belvedere.

Il Santuario della Vergine Maria SS.ma del Belvedere

Meta di pellegrinaggio da secoli, l’edificio religioso che appare oggi al visitatore è quello di una chiesa tardo ottocentesca la cui costruzione, infatti, risale al 1875. Questo luogo riveste un’importanza fondamentale per il popolo di Carovigno a partire già dal IX secolo, quando il luogo in cui ora sorge il santuario era un bosco caratterizzato da una presenza di cavità naturali all’interno delle quali si era stabilita una comunità di monaci provenienti dai Balcani. Sotto il santuario, infatti, si trovano due grotte che scendono fino a 22 metri di profondità a livello calpestabile, ma vanno ancora oltre a livello speleologico. Il luogo fu  inizialmente definito “Sant’Angelo de luco”: “luco” dal termine latino che significa ”piccolo bosco”, e Sant’Angelo perché il primo culto della grotta era dedicato San Michele Arcangelo.

Le due grotte sono divise da una sezione di gradini che viene a costituire una piccola “scala santa”. Secondo la tradizione, a ogni gradino che si scende corrisponde una preghiera alla madonna. L’ultimo gradino della scala santa porta impresso il simbolo di una croce perché era lì che il pellegrino doveva recitare l’ultima preghiera.

Le grotte sono di origine carsica, quindi pari alle grandi Grotte di Castellana, il più grande complesso di grotte dell’Itala del sud, e l novanta per cento degli affreschi presenti sono interessati all’iconografica della Vergine con il Bambino.

Il primo si trova subito sulla parete destra mentre si scende la scala che porta alla prima grotta. Il dipinto purtroppo è mancante della parte superiore, in particolare nella rappresentazione del capo della Madre e del Figlio.

Nella prima grotta si può ammirare la Vergine dell’Odegitria, ovvero colei che segna la via e che, portata dal mare, aveva avuto grande diffusione in tutto il territorio tanto che prese il nome di Valle D’Itria. La grotta fu utilizzata per il culto nel corso di svariati secoli e subì vari ammodernamenti relativi all’apparato pittorico e decorativo, andando a riposizionare, l’uno sull’altro, le immagini che si volevano far vedere. Nel caso del  primo altare, per esempio, pur essendo rappresentate tre vergini, se ne vedono soltanto due.

L’affresco di San Michele Arcangelo, quasi sicuramente l’affresco più antico della grotta, è completamente rovinato a causa dello scorrere del tempo e si riconosce solo tramite pochi particolari. Intorno alla piccola edicola centrale emerge un grande baldacchino che fu edificato nel 1501 dalla famiglia Loffreda.

La grotta inferiore rappresenta il punto esatto della nascita della tradizione degli sbandieratori di Carovigno. Anch’essa custodisce altri due affreschi della Vergine: quello più antico, del tardo Trecento, ascrivibile al gotico senese; il secondo è del ‘400 ed è inquadrato in un altare barocco.

Il Santuario della Vergine Maria SS.ma del Belvedere si trova sulla Strada Provinciale n. 33.

 Il Castello Dentice di Frasso

L’edificio si presenta nella sua forma attuale a seguito di una ristrutturazione effettuata nei primi anni del ‘900 del secolo scorso grazie alla famiglia Dentice di Frasso, da cui prende il nome.

Stando alle fonti storiche, il castello dovrebbe risalire all’XI secolo, per la presenza di una torre normanna che però non è visibile da fuori a occhio nudo perché inglobata dalle strutture successive. L’ipotesi è anche suffragata da un documento che si trova nell’archivio arcivescovile di Ostuni in cui si attesta che l’edifico fosse già presente intorno all’anno mille. Un’altra prova è dovuta alla presenza di segrete: da letteratura militare, infatti, un aspetto tipico delle torri normanne era l’esistenza di cisterne e prigioni sotterranee.

In epoca angioina la torre assume ancora un aspetto quadrangolare, non viene quindi modificata nella forma ma solo restaurata.

Nel corso dei secoli, la cittadina di Carovigno assunse un ruolo sempre più importante e quindi necessitò di maggiore protezione. La seconda torre fu costruita intorno alla seconda metà del ‘400, da un signorotto della famiglia Orsini, un’importante dinastia di Lecce, ed è conosciuta come torre aragonese.

Con l’invenzione delle armi da fuoco le due torri iniziarono a diventare insufficienti, per questo fu aggiunta la terza e ultima torre “lanceolata”, opera dell’architetto Francesco di Giorgio Martini. Questa conformazione permetteva maggiore protezione dalle armi da fuoco perché consentiva ai soldati di disporsi in un determinato modo per avvistare bene il nemico e difendersi. Alla fine del ‘400 il castello assume una forma triangolare.

Quando Carovigno non fu più un feudo e divenne una città libera, i vari signori che si avvicendarono lo trasformarono in una dimora nobiliare apportando varie modifiche, come l’inserimento di elementi in pietra di Carovigno detta anche “pietra gentile” perchè molto malleabile quando è “cruda” e altrettanto resistente quando si ossida.

Alla fine del ‘700 il castello passa alla famiglia Dentice di Frasso che, però, lo abbandonò a causa di cavilli burocratici.

Nel ‘900, uno degli esponenti della famiglia, decise di regalare il castello al fratello, l’Ammiraglio Alfredo Dentice di Frasso, come dono delle sue nozze con Elisabetta Schlippenbach, una discendete della famiglia Asburgo.

Per Elisabetta si trattava del secondo matrimonio. A sedici anni era andata in sposa a un conte di pari lignaggio e, nonostante il marito fosse una persona perbene, per i successivi sedici anni condusse una vita che non sentiva sua. All’età di trentadue anni prende quindi una decisione “rivoluzionaria” per l’epoca: divorzia dal marito, viene diseredata dalla famiglia e le viene negato di vedere il figlio con il quale, però, riuscirà comunque a costruire un ottimo rapporto.

Quando, a casa di amici in comune, incontrò l’Ammiraglio Dentice di Frasso – che, oltre ad essere stato il primo comandante del Battaglione San Marco era anche senatore del Regno d’Italia – per entrambi si trattò di amore a prima vista.

Raffinati e dotati di buon gusto, trasformarono il castello in una vera e propria residenza familiare dove ricevevano numerosi ospiti  – tra i quali Guglielmo Marconi, grande amico dell’Ammiraglio – e lo ampliarono in base alle loro nuove esigenze.

Ad oggi, la memoria di Elisabetta Schlippenbach e Alfredo Dentice di Frasso è molto celebrata dagli abitanti di Carovigno.

Il Castello Dentice di Frasso si trova in via Sant’Anna a Carovigno ed è aperto dal martedì alla domenica (lunedì chiuso) dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 17.30 alle 21.30.

I servizi museali e bibliotecari sono gestiti dall’associazione Le Colonne, Arte Antica e Contemporanea, Collezione Archeologica Faldetta.

Guarda il video su Carovigno, la città della ‘Nzegna, girato da Gennaro Carotenuto

 

La costa

La costa di Carovigno si esente per circa 16 km. È possibile quindi imbattersi in basse scogliere, in piccole calette o in grandi spiagge, il tutto all’interno di un paesaggio unico e inconfondibile. I suoi porticcioli di Torre Santa Sabina e Torre Guaceto hanno avuto, in tempi remoti, una grande importanza per gli scambi con i popoli che si trovavano dall’altra parte dell’Adriatico.

Torre Santa Sabina e la spiaggia della Mezzaluna rappresentavano un attracco fondamentale per le navi che arrivavano da altri paesi, soprattutto dalla Tunisia, con il loro carico di olio, vino e garum.

Torre Guaceto è un edificio costiero del ‘500 che prende il suo nome dall’arabo Al Gaw-Sit, ovvero “qui c’è l’acqua”, per indicare la presenza di fonti d’acqua dolce che il catografo arabo Idrisi aveva già identificato nel XIII secolo.

La torre da il nome alla Riserva Naturale dello Stato e all’Area Marina Protetta che è situata lungo il litorale a nord di Brindisi.

Torre Guaceto è l’unica riserva naturale che ha, al suo interno, un sito archeologico e un suo laboratorio archeologico,  dispendente dall’Università di Lecce. Testimonianze di insediamento più antiche risalgono all’Età del Bronzo, ovvero il II millennio a.C., mentre i villaggi si inseriscono tra la fine del Bronzo Antico (XIX secolo a.C.) e del Bronzo Medio (XVIII – XV secolo a.C.).

Caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea, parte della riserva è destinata all’agricoltura. Dall’uliveto secolare che avanza nell’entroterra, si produce l’”Oro del Parco”, un olio EVO biologico ottenuto mediante molitura a freddo nel frantoio della vicina Borgata di Serranova. Un altro prodotto tipico del posto è il Pomodoro Fiaschetto, Presidio Slow Food, che “si pianta a San Giuseppe e si raccoglie a San Giovanni” ed ha un perfetto bilanciamento tra acido e dolce.

L’area marina protetta è divisa in tre zone: la zona A, in cui è proibita la balneazione, e le zone B e C in cui, invece, è consentita. In tutte le zone vi è il divieto assoluto della pesca ad eccezione della zona C dove è consentita solo la pesca professionale costiera locale.

Il posidonieto di Torre Guaceto è il terzo più grande d’Europa – il primo più grande dell’Europa continentale – e rappresenta un eco-ambiente marino importantissimo sia perché la poseidonia è un bio indicatore, ovvero vive solo se l’acqua è chimicamente pulita, sia perchè rappresenta un habitat per tantissimi animali che, al suo interno, trovano riparo e nutrimento. La poseidonia, inoltre, ha una chioma fluente verde smeraldo che è funzionale a trattenere la forze del mare, quindi la sua presenza limita la corrente e l’erosione della costa.

Sempre all’interno dell’area marina protetta si trova il Centro di recupero tartarughe marine che, se da una parte si occupa di ricerca, conservazione, informazione e sensibilizzazione sul tema della fauna marina, dall’altra fornisce soccorso, cura e riabilitazione degli esemplari che si arenano sulla spiaggia perché hanno ingerito bottiglie di plastica o sono stati feriti dagli strumenti che l’uomo utilizza per la pesca.

Le attività guidate sono a cura della Cooperativa Thalassia che propone escursioni a piedi tra i sentieri di macchia mediterranea fino alle spiagge e alle Torre; passeggiate in bicicletta alla scoperta dei paesaggi della riserva; snorkeling guidato con machera e pinne per osservare i fondali dell’Area Marina Protetta.

Guarda l’intervista a Tonia Barillà sul progetto Plastic from Sea.

 

Dove dormire

Albergo Diffuso Dimora Sant’Anna
Via Giacomo Matteotti  n.100
Carovigno
Un Boutique Hotel che si districa tra le viuzze e le case bianche del cosiddetto “Rione Terra”, l’ affascinante centro storico tipico dei comuni dell’Alto Salento.

Dove mangiare

Mamma Lena – Braceria
Via Giuseppe Verdi 10
Carovigno
Braceria tipica e ottimi piatti della tradizione

Masseria Caselli
S.P. 35 San Vito dei Normanni/Specchiolla
Carovigno

Ambiente raffinato ed elegante, propone specialità tipiche regionali con prodotti locali

 

Masseria Nzeta
SS16, km 2,5
Carovigno
Una masseria dell’800 dove, tra alberi di ulivo secolari, si può gust

are un’ottima cucina tipica genuina e la pizza cotta nel forno a legna.

La Terrazza
Via della Torre 5
Torre Santa Sabina
Carovigno
Un ristorante concepito come una terrazza adagiata sullo splendido mare della piccola località marina di Carovigno. Il menù prevede un ricco assortimento di specialità della cucina pugliese.

Al Boschetto
Via Umberto I n.178
Carovigno
Situato in un antico edificio con splendide arcate, il ristorante propone piatti tipici e genuini.

Oasi del Gusto
Corso Vittorio Emanuele n.24
Carovigno
Una piacevole sosta per assaggiare la Tetta della Monaca, una soffice pasta che racchiude un cuore di crema bianca.

Si ringraziano la Regione Puglia e il Comune di Carovigno .