Si al referendum su acqua e nucleare: e adesso?

La Consulta ha detto Sì. Prosegue il lungo iter referendario per cercare di portare gli italiani ad esprimersi sull’abrogazione di precise leggi una domenica fra il 15 aprile e il 15 giugno.

Torna in auge lo strumento referendario, se ne riparla anche dopo le “scelte” di Pomigliano e Mirafiori. In questo caso proseguono il percorso verso con un Sì o con un No i quesiti sul legittimo impedimento, il ritorno del nucleare in Italia e due contro la privatizzazione dell’acqua. Sono stati invece giudicati inammissibili due quesiti sulla sulla gestione delle risorse idriche.

In questa sede ovviamente ci soffermiamo sui referendum che riguardano acqua e nucleare.

Acqua

I promotori della campagna “L’acqua non si vende” chiedono di abolire la possibilità di dare la gestione dei servizi idrici ai privati. I pro e i contro della privatizzazione dell’acqua a mio parere sono ben condensati e spiegati nella puntata “Acqua rubata” della scorsa stagione di Presadiretta di Riccardo Iacona. (Tra l’altro il 30 gennaio Presadiretta torna, guardate con chi e su quale tema).

Nel dettaglio, si propone l’abrogazione dell’articolo 23 della legge 133/08, il cosiddetto decreto Ronchi, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Le motivazioni: “La normativa approvata dal governo Berlusconi stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%”. “Abrogare l’articolo 23 significa – quindi – stoppare la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici”.

L’altro quesito riguarda i profitti, si propone l’abrogazione dell’articolo 154 del decreto legislativo 152/06, limitatamente alla parte del primo comma che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Cancellare la possibilità concessa al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta un 7% a remunerazione del capitale investito, senza vincolare ciò a una logica di reinvestimento di questi profitti per il miglioramento qualitativo del servizio.

Nucleare

Sì anche al quesito referendario sul nucleare, voto per abrogare la norma per la “realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare” relativo al decreto legge riguardante “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” firmato il 25 giugno 2008 e convertito in legge il 6 agosto dello stesso anno. Anche sul nucleare c’è una dettagliata puntata di Presadiretta. E qui invece i contenuti di Econote.it, l’ultimo post riguarda lo spot – molto controverso e poco equilibrato – che state vedendo da settimane in tv.

E adesso?

A fissare la data dei referendum sarà un decreto del presidente della Repubblica su deliberazione del consiglio dei ministri. Nel caso di scioglimento anticipato delle Camere o di una di esse, i referendum già indetti vengono sospesi. Quindi la strada è ancora molto lunga e tortuosa. Senza contare che sono quasi 20 anni che un referendum abrogativo non supera la soglia del quorum, il 50% + 1 degli aventi diritto al voto, altrimenti il referendum è nullo.

Molti politologi e osservatori autorevoli hanno definito il referendum “un’arma spuntata”.

Se negli anni 70′ il referendum è stato lo strumento per portare avanti in un paese tradizionale e gattopardiano come il nostro battaglie civili come il divorzio, l’aborto, questa spinta di è poi progressivamente persa forse anche a causa di un “abuso” dello strumento. Il ricorrere troppo alla tagliola sì/no ha impoverito lo strumento di democrazia diretta.

Questa è un pò la tesi che sostengo qui, avendo dedicato all’argomento la tesi di laurea triennale: “Il potere dei referendum” di cui riporto un breve passo.

In Italia il referendum abrogativo è uno strumento deformato dalla prassi. Il ricorso ad esso è stato sempre più incalzante, a partire dagli anni ’80 (la legge per la sua implementazione è datata solo 1970 e solo quattro anni dopo il referendum viene posto sul tema del divorzio) quando le chiamate al voto per gli elettori che, potevano così intervenire in prima persona sui temi di volta in volta proposti, sono diventate sempre più frequenti. Ma il referendum viene introdotto nella Costituzione come mezzo eccezionale per questioni di spessore, non di decisione ordinaria. Sarà per questo abuso che lo strumento ha smarrito la capacità mobilitativa che aveva negli anni ’70 ( con  temi come il divorzio e l’aborto), rientrando a pieno titolo nei meccanismi procedurali consueti, classici e politici, e come tale soggetto allo scollamento fra società civile e sistema politico, alla disaffezione, al distacco.

[…] Dal ‘74 al ‘95 i referendum falliti per la mancanza del quorum utile sono stati solo 3. Dal ‘97 al 2005 sono ben 15 i referendum saltati. Volendo andare più nello specifico, il primo referendum fallito è quello su caccia e pesticidi datato 1990. L’ultimo referendum a raggiungere il quorum è quello del 1995 (referendum “televisivi”), dopodiché lo strumento referendario registra solo sconfitte, a parte un piccolo recupero nel ‘99 quando la soglia del 50% viene sfiorata ma comunque non raggiunta, la partecipazione si attesta al 30% in media.

Una sorta di apatia ha pervaso la maggior parte degli aventi diritto al voto, che durante gli ultimi 15 referendum tra il 1995 e il 2005, hanno preferito rimanere a casa o “andare al mare” complici il periodo estivo in cui si svolgono le consultazioni e gli inviti a disertare provenienti da tutti i livelli della scala politica. Questo ha configurato una terza alternativa ai semplici sì e  no da barrare sulla scheda referendaria: il non voto, che è una soluzione molto più semplice e di facile presa su di un elettorato stanco.