Capacita’ di Sintesi

La vita sintetica è stata una delle invenzioni che più a sconvolto le coscienze in quest’anno. Craig Venter ed il suo team sono stati in grado di creare il primo batterio con DNA sintetico. In realtà è sbagliato parlare di vita artificiale, intesta come de novo. Il batterio in questione è stato realizzato partendo comunque da sequenze già esistenti. Il team è partito dal genoma del Mycoplasma Genitalium, analizzandolo e privandolo di tutti quei geni che non fossero coinvolti nella sopravvivenza del microrganismo. Il DNA risultante è stato successivamente sintetizzato dai ricercatori e successivamente “trapiantato” nello stesso batterio (eliminando il “genoma endogeno”), ottenendo un organismo capace di riprodursi e di sostenersi.

Tale passo avanti nell’ingegneria genetica rappresenta una pietra miliare nella progettazione di nuovi organismi geneticamente modificati (o sintetizzati). Immaginate infatti di poter aggiungere (e togliere) nuove funzioni a microrganismi esistenti, in modo da ottenere dei benefici (dicesi Biotecnologie). Il ventaglio delle opportunità e delle idee è infinito.

Pensiamo infatti alle sole applicazioni in campo ecologico.

Uno dei problemi più pesanti e di difficile risoluzione è quello dell’inquinamento da idrocarburi, che vengono molto spesso riversati in mare nei disastri ambientali come quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, nel golfo del Messico (Aprile 2010). I composti liberati in questi incidenti sono altamente tossici per la flora e la fauna marina. I sistemi di separazione dell’acqua e della sua purificazione richiedono macchinari costosi, ingombranti e non molto efficaci. A darci una mano potrebbero esser proprio dei batteri geneticamente migliorati. Esistono infatti batteri capaci di metabolizzare (quindi degradare) alcuni tipi di idrocarburi. Tramite le tecnologie di ricombinazione si potrebbero riunire queste capacità in un’unica specie batterica, in grado dunque di catabolizzare molte specie di composti idrocarburici.

Altre applicazioni delle Biotecnologie “green-friendly” sono da ricercare nei processi di sintesi industriale ed agroalimentari:

  • produzione di biocombustibili, molecole utilizzabili come combustibili a minimo impatto ambientale, si pensi all’etanolo – la prima macchina di H. Ford sfruttava l’etanolo – ottenuto dallo zucchero di canna. Proprio un progetto di Venter vedrebbe la creazione di un batterio capace di sintetizzare Idrogeno (utilizzabile come combustibile nei mezzi di trasporto);
  • produzione di materiali comuni come la carta senza l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche nel trattamento, che nel caso specifico sono usate per eliminare la lignina. Con gli opportuni OGM la si potrebbe degradare facilmente e senza danno ambientale
  • produzione di materiali biodegradabili, come la plastica biodegradabile, sintetizzata da microrganismi geneticamente modificati;
  • produzione di piante parassiti-resistenti super-performanti, aumentando rese, abbattendo i costi ed i veleni sparsi sulle piantagioni (si rimanda all’articolo Il Lato Oscuro del Biologico);

Questi e molti altri usi delle Biotecnologie porterebbero ad una taglio netto alla dispersione di sostanze tossiche nell’ambiente (o alla loro bonifica) e all’emissione di CO2 industriali, grazie al risparmio in termini di energia e prodotti chimici utilizzati nei processi di sintesi.

Il problema etico a questo tipo di “tecnologie biologiche” è comprensibile, come di fronte ad ogni innovazione che scuote il nostro modo di vedere il mondo. Molti parlano di “giocare a fare Dio”. Nulla di più lontano dagli scopi dei Biotecnologi, che invece s’impegnano ad utilizzare la materia prima (la natura) per modellare nuove strutture capaci di preservare l’uomo e l’ambiente.

Una frase trovata sul web sarebbe un’adatta risposta a i più fondamentalisti: “Se nessuna etica vieta che il meccanismo del profitto fermi l’industria allora quale principio etico dovrebbe fermare l’applicazione virtuosa di queste scoperte?”