Papa Francesco ai giovani del Messico: “Voi siete la ricchezza!”

Di Patricia Lolli

Ciudad Juárez. Sì, Francesco, in terra messicana, dove molta coltivazione ha la finalità del narcotraffico, si rivolge direttamente ai giovani e dice “Siete ricchezza! Non dico speranza, ma
ricchezza!“.
In un Paese di 31 Stati e un Distretto Federale, in cui la trasformazione urge incessante e dove la media dell’età della popolazione pari a 28 anni induce a credere che fra i giovani possa nascere la spinta per il cambiamento.
Proprio quei giovani che, insieme ai vecchi, sono anche la parte più ricattabile della società. Arrendevolezza e necessità degli anni, nei vecchi, inesperienza e illusioni indotte, non vere speranze, per i giovani, attirabili come falene.
L’esortazione ai giovani, il 16 febbraio nello stadio José Maria Morelos y Pavón, di non lasciarsi gestire come prede. Per gli anziani, il 15, nell’incontro con le comunità indigene al centro sportivo municipale San Cristóbal de Las Casas, nel Chapas e soprattutto nell’incontro con le famiglie, nello stadio Victor Manuel Reywa della capitale Tuxtla Gutierrez, l’invito è di rappresentare la roccia dei buoni ricordi a cui potersi attaccare.
Sapendo bene che tutto ciò è anche estremamente difficile, se neppure il minimo è garantito, se la povertà e il degrado costituiscono un brodo dove la malavita alligna e si moltiplica. Tutto ciò valido per ogni dove nel mondo, ma qui tanto più se l’ogni e il dove sono il “per lo più”.

E la prima forte esortazione, ricordando il 13 nella Cattedrale della capitale le parole dell’Epapa-francesco-11sodo, è per i vescovi del Messico, passato il tempo dell’abolizione ufficiale delle religioni, che ora risulta comunque per il 90% di fede cattolica: “Non riponete la fiducia nei carri e nei cavalli dei nuovi faraoni”. Per tutti i sacerdoti, i religiosi e i consacrati, il 16 a Morelia, capitale del Michoacan, nello stadio Venustiano Carranza, il no alla rassegnazione. “Non siamo né vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo né desideriamo mai essere impiegati dell’impresa di Dio”. Ma veri riferimenti, pronti nell’aiuto, dopo ogni caduta.
Dalla parte dei più esposti, dei più fragili e bisognosi. Durante la Messa il calice e i paramenti di “Tata Vasco” (Papà Vasco), il magistrato spagnolo che nella metà del ‘500 divenne vescovo con grande dedizione agli indios.
L’incontro con i bambini nella cattedrale di Morelia. Il 15 durante la Messa nell’area del Centro Studi di Ecatepec, Francesco ha ricordato, sottolineato, riferendosi anche in particolare
agli effetti sociali del narcotraffico, le tre facili tentazioni della società. La ricchezza, la vanità, l’orgoglio: una famiglia, una società corrotta, mangia il pane frutto del dolore e persino della vita degli altri; il grande desiderio della fama dei cinque minuti spesso è anche contro quella degli altri; il sentirsi migliori degli altri porta a non credersi parte dei comuni mortali. La sera del 15 con i bambini ammalati nell’Ospedale pediatrico Federico Gomez a Città del Messico.

Nell’ultima giornata in terra messicana il 17, la visita al penitenziario CaReSo n.3 di Ciudad con il dono offerto di un Cristo di cristallo, fragile immagine di cui aver cura, come della fragilità di tutti gli uomini. Poi la Messa, a confine con gli U.S.A. ( Texas ), nell’Area fieristica. Terra di confine, appunto, che conosce continuamente la sofferenza di migliaia di persone,
Una terra dove affluiscono bande malavitose di ogni tipo, anche di messicani espulsi dagli U.S.A., ma anche tanta povera gente emarginata dalla mancanza di lavoro, con la giusta dignità tolta da oppressioni e degrado. Ad una realtà tanto difforme, difficile da leggere nelle sue parti, che a molti fa comodo lasciare difficilmente decifrabile e risolvibile, a quel brodo di degrado e malavita che alligna papa Francesco si è riferito durante l’omelia come nell’incontro con il mondo del lavoro al Collegio de Bachileres dello Stato di Chihuahua: dove il pane non si può guadagnare per lavoro mancante o sottopagato, tutto può accadere.
L’esortazione del pontefice è stata, ancora una volta, l’invito ad arrivare, comunque, a degli accordi fra le categorie, dove “Ognuno perde qualcosa, ma ci guadagnano tutti”. In nome della Misericordia presente nel grembo della Madonna. Il 13 Francesco aveva reso omaggio alla Madonna di Guadalupe e durante la Messa ha ricordato come il volto meticcio della Morenita porti in sé la pacificazione, la nuova realtà dopo il soccombere delle popolazioni indie sotto gli spagnoli.

La Tilma, il mantello di Juan Diego, santo dal 2002 con Giovanni Paolo II, è tela di maguey che, senza deteriorarsi per come invece accade in massimo venti-trenta anni a tale tipo di tessuto, dal 1531 riporta l’immagine formatasi dove c’erano le rose nate fuori tempo nel mese di dicembre, colte da Juan Diego per la Madonna e che Maria gli aveva detto di portare al vescovo, come testimonianza della sua seconda visione. Dopo non essere stato creduto, la prima volta, quando aveva riportato il desiderio della Morenita di una chiesa a suo nome.
Il premio Nobel Richard Kuhn nel 1936 rilevò come l’immagine originaria non provenga da colorazioni di origine minerale, vegetale o animale. La sua varia colorazione sembra fluttuare a una distanza di 3 decimi di millimetro dalla tela, ravvisabile da molto vicino come in bianco e nero e con più colori a maggior distanza. Solo piccole parti sono state riscontrate dipinte, successivamente, come “ritocchi”.
Le pupille della Madonna risponderebbero alla luce con le reazioni delle pupille umane, la temperatura della tela sarebbe di 36,6 gradi come la temperatura umana e sotto il fiocco nero, usato dalle donne indie se in attesa di un figlio, un medico con lo stetoscopio avrebbe contato 115 battiti, come il cuore di un bimbo nel grembo materno. Le stelle sul manto riporterebbero le costellazioni, viste dall’alto, di quella notte del 9 dicembre 1531. Nelle pupille, che non arrivano a 8 millimetri, sono stati evidenziati mediante tecniche diverse, prima nella sola pupilla destra dai fotografi Alfonso Marque Gonzales (nel 1929) e José Carlos Salinas, fotografo ufficiale della basilica (nel 1951), poi nelle due pupille dall’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann, con ingrandimenti di 2500 volte, personaggi e scene presenti al suo momento iniziale, davanti al vescovo. Con la leggera differenza di rotazione tra i due occhi, data la diversa angolazione della luce che arriva nelle pupille come nell’occhio umano: il riflettersi negli occhi di ciò che si vede, conosciuto nel secolo XIX° come Purkin-Samson’s Images. L’immagine venne definita acheropita, senza origini di produzione umana, nel 1979 dal biofisico Philip Serna Callahan, biofisico dell’University of California.

Finisce a Ciudad Juárez il Viaggio Apostolico in Messico. Presso l’unico passaggio sul Rio Grande, fondata nel 1659 dall’invasione spagnola col nome di El Paso del Norte, divenuta El Paso dopo il Trattato di Guadalupe del 1840, divisa in due a confine e intitolata nel 1888 al presidente.
Qui Francesco con una commozione palese, accompagnato alla partenza dal presidente Enrique Peña Nieto e consorte, che lo avevano accolto il 13 nel Palazzo Nazionale, ha lasciato un vasto insieme di Stati, una moltitudine che lo accolto festosa per tutto il lungo percorso dei luoghi visitati, una quantità smisurata di problemi non si sa quando risolvibili, tante croci dipinte per ricordare quanti, fra cui dal 1993 centinaia di donne povere, nel Chihuahua e particolarmente a Ciudad Juárez, sono spariti e continuano a sparire senza trovare spiegazioni ufficiali.