Alla scoperta del compounding: una soluzione possibile all’inquinamento da plastica

L’inquinamento da plastica è una delle questioni ambientali che più destano preoccupazione al momento e, soprattutto, richiedono una soluzione prioritaria e condivisa. La cattiva notizia è che una soluzione non esiste, o almeno non è di immediata applicazione. Per raggiungere l’obiettivo di un futuro plastic free le strategie da mettere in campo sono molteplici e richiedono lo sforzo congiunto e sinergico di istituzioni, cittadini e imprese. Incrementare la percentuale di raccolta differenziata in città può aiutare, così come può essere utile ridurre il consumo di plastica monouso oppure , da parte delle aziende, sperimentare packaging innovativi, in bioplastica o altri materiali compostabili. Alle aziende è richiesto però sempre più spesso un impegno più consistente, anche in considerazione del fatto che delle svariate tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno la maggior parte sembrerebbero essere rifiuti industriali e, più nel dettaglio, scarti di lavorazione.

Cos’è il compounding della plastica e come funziona

Gli addetti ai lavori hanno così spesso individuato nel compounding una possibile soluzione al problema dell’inquinamento da plastica, o almeno a una sua porzione abbondante. Di cosa si tratta? Semplificando molto, il compounding (o  compoundazione) è quel processo che consente di trasformare i residui di lavorazione in materiale plastico in nuova materia prima da utilizzare in ulteriori processi industriali e per la produzione di oggetti in plastica riciclata. La buona notizia è che, rispetto ad altri materiali, la plastica ha un potenziale di vita decisamente più lungo se sottoposta alla giusta lavorazione.

Quanto a come si procede al compounding della plastica, se lo si vuole fare “in casa” e senza limitarsi a vendere gli scarti plastici a imprese specializzate, il primo passo è far installare delle linee di estrusori: aziende come Bausano, da anni specializzate nell’estrusione delle materie plastiche, offrono soluzioni personalizzate e personalizzabili, che tengono conto anche dei volumi di plastica effettivamente prodotti in ogni impianto. Questi macchinari hanno un meccanismo bivite che, combinato al calore e alla pressione, è responsabile dell’estrusione della plastica e, cioè, della sua trasformazione in granuli, profili, tubi o pellet che rappresentano a propria volta materiale grezzo per la produzione di altri oggetti in plastica.

Infatti i prodotti in plastica estrusa, come granuli, profili, pellet e tubi possono essere sia riutilizzati all’interno dello stesso impianto e per quei cicli produttivi che richiedono plastica tra le materie prime e sia venduti ad altre realtà che lavorano la plastica riciclata, siano esse aziende a monte o a valle della propria stessa filiera, oppure imprese estranee al proprio settore di riferimento.

Il compounding della plastica è, insomma, un ottimo approccio all’economia circolare e, forse, ancora oggi rappresenta una delle attività più facilmente realizzabili a livello concreto. L’economia circolare è un modello che teorizza la necessità di allungare il più possibile il ciclo di vita delle materie prime, creando al bisogno anche intersezioni e partnership tra business completamente diversi. Trasformare quelli che altrimenti resterebbero semplici materiali di scarto in materiali di lavorazione non risponde proprio a questa filosofia. Peraltro, se si considera il costo da sostenere per il corretto smaltimento dei residui plastici di lavorazione, è presto spiegato anche perché e come la compoundazione della plastica si rivela economicamente vantaggiosa per le aziende. Il compounding riesce a trasformare un budget ingente per lo smaltimento della plastica esausta in un guadagno derivante dalla rivendita di pellet, profili, granuli, tubi in plastica estrusa oppure in una riduzione delle spese per l’approvvigionamento di plastica da lavorare.