Articolo aggiornato il 26 Luglio 2025
“Il tempo della perdita” (titolo originale: “Die Zeit der Verluste”), saggio dello scrittore tedesco Daniel Schreiber e pubblicato in Italia da add editore (128 pp., 16 euro), si sviluppa come una profonda esplorazione del lutto e del distacco. Già noto al pubblico italiano grazie alla traduzione – sempre di add – di Soli, un brillante libro su cosa significhi vivere tra “desiderio di ritiro e libertà e quello di vicinanza”, in questo nuovo volume l’autore parte da un episodio personale per trascendere la mera riflessione sulla morte di una persona cara, estendendo il concetto di perdita alla disintegrazione di certezze, di un’identità passata o di un futuro immaginato in un’epoca di profonde trasformazioni.
E’ un libro che mi ha scosso profondamente, sia per il tema – tra l’altro, durante la sua lettura, tre persone legate in modo più o meno strettamente alla mia vita, sono morte – che per il modo in cui questo è brillantemente trattato.
Si parte infatti dall’esperienza personale di Schreiber, che narra la scomparsa del padre a seguito di una lunga malattia oncologica.
“Lo smarrimento è la sensazione che più mi appartiene in questo periodo. Mi sembra di vivere in un mondo che mi è noto e che continua a funzionare in base a regole che conosco piuttosto bene, solo che ora mi si presenta con un volto nuovo. Se tento di descriverlo, anche le parole mi sfuggono. Questo mondo non è alla mia portata. Sulle prime mi fa cenni incoraggianti, ma poi mi volge le spalle, scuotendo tristemente la testa”
Questo approccio conferisce al testo una risonanza universale, permettendo a ogni lettore di riconoscere frammenti delle proprie esperienze di addio o smarrimento.

L’autore affronta il senso di smarrimento e di devastazione causato dall’assenza con una lucidità e una capacità di introspezione che trasformano spesso il racconto autobiografico in una sorta di indagine filosofica e sociale. Non si tratta di un semplice diario del dolore, bensì di un’analisi stratificata di come la perdita ci trasformi profondamente e di come si possa imparare a conviverci, abbracciando la paura che il lutto porta con sé.
“Il lutto è parte della nostra vita, indipendentemente dalle coincidenze biografiche che fanno sì che in certi casi arrivi prima e in altri dopo. Anche se non abbiamo ancora vissuto quelle perdite terribili che sconvolgono l’esistenza, mettendo sottosopra la quotidianità – la morte del proprio o della propria partner, per esempio, o di uno dei genitori, di un fratello, di una sorella, addirittura di un figlio – tutti abbiamo perso qualcosa che nelle nostre vite significava molto, a volte moltissime”
Lo stile di Schreiber è raffinato e avvolgente. La sua prosa si compone di frasi che si lasciano leggere in modo semplice ma, inaspettatamente, risultano dense e ricche di significato.
Il libro mi ha colpito soprattutto per la sua sincerità, la mancanza di imbarazzo e remore nell’affrontare un tema così personale. E per questo motivo la sua analisi del lutto appare onesta, forte, priva di qualsiasi tipo di retorica, rendendo questo libro davvero autentico e commovente.
Prendo a prestito in questo senso le parole di Anja Wasserbäch, sul retro del volume: “Le sue parole colpiscono dove fa più male, ma anche dove si mette in moto ciò che consola. Voleva scrivere un bellissimo libro sul lutto. Ci è riuscito.” Anche Silvia Feist descrive l’esperienza di questa lettura come “avere una splendida conversazione con un amico.“
Ed è in fondo così, sembra di leggere in queste pagine un amico che racconta la sua esperienza, e può essere utile, catartica, disturbante allo stesso tempo. Nel suo racconto l’autore si trova a Venezia. L’ambientazione veneziana non è casuale: la città lagunare, con la sua bellezza decadente, la sua fragilità e il suo rapporto intrinseco con l’acqua (simbolo di flusso costante, di cambiamento, ma anche di minaccia incombente), diventa una potente metafora della perdita. Muoversi tra le calli con Schreiber, attraversare con lui stradine, entrare nei portoni dei palazzi, praticare lo yoga, significa riflettere sulla transitorietà di ogni cosa e sulla bellezza che può emergere persino dal dramma.
“Il tempo della perdita” ha la capacità di essere un libro che attrae e allontana allo stesso tempo: un libro che non può che essere apprezzato per la sua capacità di affrontare un tema arduo con profondità, sensibilità e intelligenza.
Schreiber scava nel lutto con lucidità, analizza la tristezza, il senso del distacco, con parole che non sfociano mai nel banale o melodrammatico. Il libro non intende offrire risposte immediate, non vuole essere una guida o un manuale per attraversare il lutto, ma stimola alla riflessione, al riconoscimento del dolore e, in qualche modo, all’accettazione della fragilità umana come componente essenziale dell’esistenza.
È un’opera per certi versi unica, che permette di guardare dentro e fuori noi stessi, sottolineando come non esista un modo “giusto” di affrontare la perdita, poiché ogni lutto è soggettivo e necessita dei propri tempi. Questo saggio è consigliato a chiunque voglia esplorare il tema della perdita da una prospettiva filosofica e personale, e si rivela una “piccolo, grande libro” capace di offrire una prospettiva unica sul dolore universale.
