Il 17 aprile ci sarà il referendum abrogativo per decidere della durata delle trivellazioni situate a meno di 12 miglia dalla costa.
Il testo completo del quesito posto dal referendum può essere visionato qui.
Nonostante sia stato diffuso genericamente come “referendum trivelle”, l’appuntamento di domenica prossima non è per fermare le trivellazioni vicino alla costa, in quanto esiste un legge che vieta la creazione di nuovi impianti entro la soglia di 12 miglia dalla terraferma.
Lo scopo del referendum è piuttosto quello di prendere una posizione riguardo al destino degli impianti già presenti e operativi in questa fascia. Si chiede ai cittadini di esprimere se sono favorevoli o meno a revocare la clausola “per la durata di vita utile del giacimenti”, inserita con la legge di stabilità 2016. Fino al momento dell’inserimento di questa norma, in Italia le concessioni per le estrazioni avevano una durata prevista di 30 anni, con la possibilità di un rinnovo di 10 anni più altri 5, per un massimo di 45 anni totali. Con questa clausola si elimina invece il limite temporale precedentemente imposto e si autorizza l’estrazione negli impianti fino all’esaurimento del giacimento.
Il quesito posto dal testo del referendum risulta sicuramente molto tecnico e non stupisce che sollevi molteplici dubbi e controversie.
Le obbiezioni più forti mosse dai contrari all’abrogazione riguardano la possibilità di perdita di posti di lavoro e la rinuncia a sfruttare risorse italiane.
Va considerato che un esito positivo del referendum non significherebbe la cessazione immediata delle attività estrattive ma semplicemente la conferma delle scadenze imposte alle società al momento del rilascio delle concessioni. Non è quindi corretto attribuire al risultato di questo referendum la responsabilità per l’eventuale perdita di posti di lavoro dovuta alla chiusura degli impianti.
Per quanto riguarda invece i dubbi sull’opportunità di investire sull’estrazione di idrocarburi in Italia ci rifacciamo ai dati forniti in questo articolo pubblicato da Slowfood: “Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.” Questo perché le società che estraggono sono tenute a versare allo Stato solo il 7% del valore di quanto estratto in petrolio e il 10% per il gas.
Tra le ragioni dei favorevoli al SI è invece diffusa la preoccupazione per la pericolosità della vicinanza degli impianti alle coste, legata principalmente al superamento (seppure finora è stato minimo) dei livelli stabiliti per legge di agenti inquinanti presenti nelle acque. Vengono citati anche i rischi di possibili incidenti, ma va detto che gli impianti toccati dal referendum sono per la maggior parte dedicati all’estrazione di gas e non petrolio. Inoltre il disastro ambientale risultante da un eventuale incidente non risulterebbe meno grave se l’impianto responsabile si trovasse a più chilometri dalla costa.
Infine bisogna considerare che una potenziale vittoria del SI sarebbe vista come occasione per ribadire al Governo l’interesse dei cittadini nei confronti delle tematiche ambientali e l’urgenza di formulare una politica energetica adeguata e al passo con gli obiettivi dell’Europa.
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