Articolo aggiornato il 27 Agosto 2025
Mauro Mondello è un reporter, documentarista, attivista: da oltre 20 anni racconta storie legate a diritti umani, guerre, migrazione, ambiente e giustizia sociale. Dalla metà di maggio sta facendo un lungo viaggio a piedi, durante il quale percorrerà 3740 km, da Porto a Milazzo, con l’obiettivo di raccogliere fondi per due progetti di grande impatto sociale in Sicilia. Questo cammino si chiama 3740km, come i chilometri che percorrerà, e il giornalista quasi ogni giorno aggiorna i suoi followers attraverso Facebook e Instagram. La raccolta fondi di Mondello è ben spiegata qui su GoFundMe e il viaggio a questo link. Ho avuto il piacere di fargli alcune domande su questa iniziativa.

Da cosa nasce l’idea di un’impresa come “3740 KM”? Cosa rappresenta per te questo cammino, che ti porta dal Portogallo alla Sicilia?
L’idea di tornare in Sicilia a piedi mi ronzava in testa da anni, già da quando vivevo a Berlino. Sono andato via di casa molto presto, a 18 anni, e allora a un certo punto ho cominciato a sentire un bisogno interiore di ripercorrere a piedi, in maniera lenta, passo dopo passo, tutta la strada che, simbolicamente, avevo fatto nel tempo, allontanandomi dalla mia isola. Quest’anno, dopo tante riflessioni, è scattato qualcosa che mi ha fatto pensare “è il momento giusto”, soprattutto perché alla mia idea “filosofica” del cammino come ritorno simbolico nel luogo nel quale sono nato, si è aggiunta la raccolta fondi, dunque un elemento di realtà molto importante. Per me, in ogni caso, questo cammino è una un modo per sostenere, una volta di più, che il cambiamento passa attraverso azioni concrete, e non c’è nulla, forse, di più concreto del camminare, un gesto che rappresenta l’essere umano in tutta la sua essenza, un movimento che racchiude in sé la semplicità dello stare al mondo. È anche, infine, in un pianeta che ha eletto la velocità quale ente supremo, un invito a rallentare, ad ascoltare, a riconnettersi con la parte più profonda di se stessi e dell’universo.
Mi ha colpito la frase in una tua bio: È nato a Messina, dove non vive e non lavora. Precisazione necessaria per comunicare il tuo essere cittadino del mondo, o anche frecciatina sulla condizione del lavoro nel sud Italia?
Direi più un voler sottolineare le difficoltà a fare il mio mestiere nel posto nel quale sono nato. Sono cittadino del mondo, è vero, ma la Sicilia è un elemento fondamentale di ciò che sono. Vale per me, ma vale anche per tutte le migliaia di siciliani che ogni anno, da decine di anni, se ne vanno per cercare un futuro migliore, per rincorrere un desiderio, un sogno, una speranza, un’ambizione, ma che restano profondamente legati, radicati, al posto nel quale sono nati.
Quanti km stai facendo ogni giorno e come hai organizzato questo viaggio? Che attrezzatura e che equipaggiamento hai?
Tanti, tanti chilometri al giorno. La media complessiva è di circa 38 chilometri per tappa, ma nelle ultime settimane mi sto mantenendo costantemente sopra i 40. Sono molti chilometri, lo so, però sino ad ora riesco ad arrivare senza grandi problemi fino a 45-46 chilometri al giorno, anche ripetutamente durante più giorni: è incredibile ed affascinante come il corpo, dopo alcune settimane (le prime) di sofferenza per abituarsi a uno sforzo inedito, si adatti. Anche perché, è bene forse ricordarlo, io non sono un camminatore esperto, faccio sport, ho giocato tanti anni a rugby, oggi soprattutto corro, ma di cammini, nella mia vita, non ne avevo mai fatti, a parte la Rota Vicentina, in Portogallo, già più di cinque anni fa, ed erano “appena” 240 chilometri. A pensare a quanto cammino adesso, praticamente nulla. Anche per questo, non ho particolare attrezzatura o equipaggiamento, non sono particolarmente tecnico. Ho uno zaino da 40 litri, che pesa poco meno di 9 chili. Niente tenda, niente sacco a pelo, ho cercato di ridurre al minimo il bagaglio perché su una distanza così lunga, anche pochi grammi fanno la differenza. Ma è stato un percorso anche questo. Quando sono partito da Porto, lo scorso 14 maggio, avevo molte più cose con me. Ma pian piano ho tolto, ho lasciato. È un esercizio di vita imparato durante il cammino, anche questo: quello di comprendere che, in fondo, quando si tratta di cose, di vestiti, di oggetti, c’è poco di cui abbiano davvero “bisogno”, mentre nella vita quotidiana, spesso, consideriamo troppe cose come essenziali, indispensabili, e in verità non lo sono.

Quali storie degne di raccontare hai incontrato lungo il percorso finora?
Tanti camminatori, tante camminatrici, ma anche uomini e donne in bicicletta, che si mettono in gioco: questo per me è l’insegnamento più bello di questo cammino. Ho incontrato tante persone che prima di partire non sapevano se ce l’avrebbero fatta, e che poi, una volta sulla strada, scoprono che sì, è possibile, si può fare. Soprattutto persone che magari non si sono mai considerate particolarmente sportive, o che pensano di essere ormai troppo in là con l’età per poter fare un cammino, ne ho incontrate molte che si sono poi decise e provarci e alle quali le giornate di cammino stavano, letteralmente, cambiando la vita. La trovo una cosa bellissima, questa, la volontà di lanciarsi in un’avventura come quella del camminare, che siano 50, 20, 200 o 1000 chilometri, la distanza non conta.
Qual è stato finora il tratto più duro? Ci sono stati momenti di eccessiva fatica, di sconforto?
Il primo tratto della Via Tolosana è stato sicuramente il più duro, quello che va da Saint Jean Pied de Port, l’inizio del Cammino Francese di Santiago, verso Tolosa, mi ha messo a dura prova per la difficoltà nel trovare acqua lungo il percorso, la segnaletica poco precisa e poi la totale solitudine nella quale, di colpo, sono piombato. Arrivavo da settimane, passate prima sul Cammino Portoguese e poi su quello di Santiago, durante le quali, seppur andando in direzione contraria, avevo un costante contatto visivo con tanti pellegrini: era una cosa che mi dava forza, anche senza parlare con nessuno, perché ti senti parte di una comunità. Ma poi, dalla Francia in avanti, sono rimasto completamente solo, non ho praticamente incontrato, incrociato, più nessuno, sino alla Via Francigena. L’inizio del tratto francese, con la sua mancanza totale di servizi, il cambio drastico in termini di presenze lungo il percorso, mi ha destabilizzato, e ci ho messo una decina di giorni ad abituarmi. Ah, e poi l’ultima settimana di giugno, con un caldo bestiale, vicino ai 40 gradi, e io ero sul Canal du Midi, fra Tolosa e Montpellier, con il sole cocente ad arrostirmi: è stata molto dura.

Questo progetto non è solo un cammino, ma anche e soprattutto un’iniziativa di raccolta fondi. Quali sono i progetti concreti che stai invitando a sostenere e perché sono così importanti per te?
Settentrionale Sicula e Aitna sono due progetti diversi, ma nascono per ragioni, e con obiettivi, molto simili: provare a dimostrare che anche in Sicilia si possono fare delle cose “normali”, tipo appunto avviare una startup o far crescere un hub creativo-editoriale. Insomma che non è necessario andarsene per provare a realizzare le proprie ambizioni, che c’è spazio per coltivare le proprie aspirazioni: per questo sono così importanti per me. Sono concetti semplici, che per una parte maggioritaria della popolazione europea suonano scontati, ma che in Sicilia non lo sono invece per nulla. Nello specifico, con Settentrionale Sicula vogliamo creare un punto di riferimento culturale che si occupi di femminismo, di diritti, di cambiamento climatico, e che in generale approcci temi di interesse corrente a 360 gradi, ma in forme e in stili inediti per il panorama editoriale siciliano. Aitna invece vuole essere un’azienda che mostri come un modello di business profondamente radicato nei valori della solidarietà possa, allo stesso tempo, raggiungere anche un grande successo commerciale, diventando così un modello di sostenibilità.
Hai descritto questo viaggio come “un atto di resistenza”. Cosa speri di stimolare, non solo in chi ti segue, ma anche in chi vive in un Sud spesso dimenticato e forse ha perso la speranza?
Mi piacerebbe se questo mio cammino diventasse un’ispirazione per quanti magari hanno pensato, nel tempo, di lanciarsi in un’avventura a prima vista impossibile, ma poi hanno rinunciato. Io non sono un camminatore esperto, non avevo esperienza pregresse su nessuno dei cammini che ho percorso, non ho particolari conoscenze tecniche, eppure sono qui, la sto facendo questa cosa: si può fare. Un passo alla volta.
Sei soprattutto un giornalista e un reporter di guerra. Al termine di questo cammino, cosa pensi di voler raccontare, quale scenario di conflitto andrai a documentare?
Nell’ultimo anno i mi sono concentrato soprattutto sull’invasione russa dell’Ucraina, con particolare attenzione a documentare le storie delle persone che dall’Ucraina sono state costrette a scappare, e poi l’invasione israeliana di Gaza e i soprusi dei coloni in Cisgiordania. Di queste cose mi sono occupato principalmente in tempi recenti e senza dubbio questo tornerò a raccontare, una volta terminata questa avventura.














