Articolo aggiornato il 10 Ottobre 2025
Nel dibattito sempre più acceso sul futuro della nostra alimentazione e sulle etichette che la definiscono, il Parlamento Europeo ha preso una posizione decisa. Con una mossa destinata a generare ampie discussioni tra produttori, consumatori e attivisti, l’istituzione europea ha approvato una norma che impedisce l’utilizzo di termini tradizionalmente associati a prodotti a base di carne per descrivere alternative vegetali. Questo significa che denominazioni come “hamburger vegetariano”, “salsiccia vegana” o “bistecca di soia” potrebbero presto diventare un ricordo del passato sugli scaffali dei supermercati .
Le ragioni dietro la decisione
La motivazione principale alla base di questa scelta è la comunicazione chiara e la tutela del consumatore. Secondo i sostenitori della norma, l’uso di termini come “burger” o “salsiccia” per prodotti vegetali potrebbe generare confusione, portando i consumatori a credere che stiano acquistando un prodotto con caratteristiche nutrizionali o organolettiche simili alla carne, o addirittura a scambiare i due tipi di prodotti.
L’obiettivo di questa decisione è, secondo alcuni, garantire una maggiore chiarezza sull’origine e la composizione degli alimenti, permettendo ai consumatori di fare scelte consapevoli.
Reazioni del settore Plant-Based e dei consumatori
Come prevedibile, la decisione ha scatenato reazioni contrastanti. Le associazioni che rappresentano l’industria alimentare vegetale e i gruppi di consumatori vegani e vegetariani hanno espresso forte disappunto. La loro argomentazione principale è che termini come “hamburger vegetariano” sono ormai ampiamente compresi e non generano alcuna confusione. Anzi, spesso aiutano i consumatori a identificare rapidamente l’alternativa vegetale a un piatto che già conoscono e, una decisione di questo tipo, appare preferire una forzatura linguistica a un’altra. Tra questi, segnalo Domenico Catapano, attivista ambientale, vegano, docente, che recentemente abbiamo intervistato, e che sui suoi canali social ha affermato: “Il 4 ottobre 2024 la Corte di Giustizia Europea si era espressa chiaramente: nessuno può vietare l’uso di termini da carne per prodotti vegetali, se non esiste una definizione legale europea specifica. Una sentenza di buon senso, che riconosceva al linguaggio del cibo la sua natura culturale, metaforica, e non tassonomica. Poi, qualche giorno fa, il Parlamento Europeo ha deciso di cambiare strada, ha votato a favore di un emendamento che vieta l’uso di termini come hamburger, salsiccia, steak ecc. per prodotti 100% vegetali. Un passo indietro clamoroso, ancora da confermare in sede di Consiglio e Commissione, ma già abbastanza per far discutere. E per confondere, aggiungo. Perché mentre non potremo più parlare di hamburger vegetale, potremo continuare a gustarci senza problemi un salame di cioccolato, un’insalata di mare o un bicchiere di latte di mandorla. La logica? Sembra che insalata valga anche per i calamari, ma burger no, se non c’è una mucca di mezzo. Siamo davanti a un cortocircuito linguistico e politico, una decisione che, nel tentativo di proteggere il consumatore, finisce per trattarlo come un ingenuo (o ignorante…), incapace di distinguere un hamburger di manzo da uno di ceci, anche quando la confezione lo dice chiaramente. Come se l’Europa non prendesse in considerazione la nostra capacità di leggere un’etichetta o comprendere una metafora“.
Molti sostengono che questa norma sia un ostacolo all’innovazione e alla diffusione di diete più sostenibili, in un momento in cui l’Unione Europea stessa promuove attivamente la riduzione del consumo di carne per ragioni ambientali e di salute pubblica. La critica è che si penalizzi un settore in crescita che offre soluzioni per un futuro alimentare più ecologico.
Con l’approvazione del Parlamento, la palla passa ora agli Stati membri e alla Commissione Europea per l’implementazione nei singoli stati e sarà interessante vedere come i produttori si adatteranno a questa nuova regolamentazione. Si aprirà una fase di creatività per trovare nuove denominazioni che siano chiare, accattivanti e non fuorvianti.
Questa mossa del Parlamento Europeo non è solo una questione di etichette, ma mette in evidenza in modo chiaro un più ampio scontro culturale ed economico sulle direzioni future del nostro sistema alimentare, tra tradizione, innovazione e sostenibilità.


