Rifiuti e tumori, uno studio su cui riflettere

Non ho mai capito l’utilità di studi come questo. Sul serio.
Anzi, forse l’ho capita fin troppo bene: “Non esiste alcuna correlazione diretta tra la presenza di rifiuti nel territorio napoletano e l’insorgenza di tumori di qualsiasi genere”, dice il comunicato stampa: ma è una frase talmente generica e priva di riferimenti concreti, da non significare esattamente nulla.
Di che rifiuti si parla? Che i rifiuti solidi urbani non siano la causa principale dei tumori, non è una novità che emerge da questo studio. Ma sono convinto, pur non essendo un medico, che invece i rifiuti tossici che sono stati sversati nelle nostre terre per decine di anni o la diossina che quotidianamente respiriamo qualche influenza – anche pesante – sulla nostra salute ce l’hanno.
Se poi uno vuole essere malpensante, può arrivare anche a credere che questo studio sia stato commissionato da chi vuole minimizzare il problema, e far credere che dalle nostre parti l’emergenza sia ormai acqua passata. Infatti, la mancata precisazione sul tipo di rifiuti preso in considerazione, mi sembra una trovata quanto meno furbetta.
Così si distoglie l’attenzione dal problema dei tumori connessi all’emergenza rifiuti, ma le denunce fatte dai cittadini sono lì a testimoniare che il problema è presente ed innegabile. I rifiuti, l’inquinamento prodotto da diossina, quello delle falde acquifere, quello dei frutti della nostra terra, le pecore che muoiono nella zona di Acerra – vedete Biutiful Cauntri, a proposito – sono tragedie ambientali che nessuno studio potrà eliminare.
E sebbene secondo i ricercatori “i dati presentati evidenziano che i fattori di rischio ambientale non sono, nell’area in esame, i determinanti più potenti di salute in generale e dell’andamento della patologia oncologica in particolare”, è impossibile crederci.

Impossibile, perché c’è una serie di studi che testimoniano il contrario. Il Lancet Oncology, rivista scientifica di importanza mondiale, che ha pubblicato lo studio di Alfredo Mazza, ricercatore del Cnr, ha definito “Triangle of death” la zona tra Nola, Acerra e Marigliano, dove si muore di tumore molto più che nel resto d’Italia: l’indice di mortalità per tumore al fegato ogni 100mila abitanti sfiora il 35.9 per gli uomini e il 20.5 per le donne, rispetto a una media nazionale che è di 14.0.
Oppure, girando in rete, è possibile trovare documenti come questo, che rilevano come “eccessi di mortalità e di malformazioni tendano a concentrarsi nelle zone dove è più intensa la presenza di siti conosciuti di smaltimento dei rifiuti”.
Insomma, la questione è ben più complessa di come ce la vogliono presentare. O sbaglio?

(Agi, Lancet, Youtube, La nuova ecologia)