Nuova indagine negli allevamenti ittici in Grecia, paese da cui proviene gran parte del pesce consumato in Italia

Essere Animali diffonde una nuova investigazione che documenta le problematiche del settore dell’acquacoltura. Il team investigativo dell’organizzazione si è recato in Grecia dove, con telecamere nascoste, ha documentato trasmissione di malattie, densità elevate e metodi di uccisione inefficaci e dolorosi per branzini e orate allevati a scopo alimentare nelle aziende ittiche del paese.

 

I numeri

In Italia più della metà delle importazioni di branzino e orata proviene dalla Grecia. Solo nel 2016 sono state importate circa 64.000 tonnellate di queste due specie, di cui quasi 40.000 direttamente dagli allevamenti ellenici. Numeri che hanno trovato conferma anche negli anni successivi: un branzino o un’orata su due in vendita nelle pescherie e nei supermercati italiani arriva dalla Grecia. Gli investigatori dell’associazione hanno visitato sotto copertura diversi allevamenti intensivi di branzini e orate nella zona di Sagiada, a nord della città di Igoumenitsa. Si tratta di un’area con un’alta concentrazione di impianti di acquacoltura: in un tratto di costa di soli 18 km si trovano 26 allevamenti diversi, ciascuno con decine – in alcuni casi anche centinaia – di migliaia di pesci stipati al loro interno.


Il video

Dal video diffuso da Essere Animali si evince che questa concentrazione di impianti causa la diffusione di parassiti e batteri, che si trasmettono con facilità anche da una gabbia all’altra. Farmaci antibiotici e antiparassitari sono somministrati ai pesci con regolarità, anche agli individui sani poiché vivono a stretto contatto con quelli malati all’interno stessa gabbia.
“Le immagini delle riprese realizzate in diversi impianti mostrano densità di allevamento molto elevate. Il sovraffollamento è fonte di stress cronico per i pesci e ha conseguenze nocive per la loro salute, peggiora la qualità dell’acqua e favorisce la trasmissione di malattie”, dichiara l’organizzazione.
Branzini e orate sono confinati in gabbie spoglie e sovraffollate, dove non possono soddisfare i loro bisogni etologici e nuotano in vortice in preda all’apatia. È stata documentata la presenza di esemplari del peso di 2 kg costretti a trascorrere fino a sei anni in questi ambienti sterili e senza stimoli.
L’uccisione è indubbiamente il momento in cui i pesci sono soggetti alle pratiche più dolorose e disumane. Gli investigatori di Essere Animali hanno assistito alla cattura di branzini e orate che, impauriti, si dimenano nell’acqua e tentano di fuggire. Ammassati gli uni sugli altri all’interno di reti,in assenza di acqua boccheggiano e vengono schiacciati dal peso degli altri pesci intrappolati. In tutte le strutture visitate i pesci vengono gettati, ancora vivi, in contenitori ricolmi di acqua e ghiaccio, dove si contorcono in un’agonia interminabile. Infatti, la perdita di coscienza non è immediata e soffrono per decine di minuti prima di morire di congelamento e asfissia.


“L’immersione in acqua e ghiaccio senza stordimento preventivo è una procedura che causa ingiustificata sofferenza nei pesci. Si tratta di una pratica di macellazione che l’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) considera inadeguata. Di conseguenza, il suo impiego costituisce una chiara violazione delle norme internazionali dell’OIE”, specifica l’organizzazione. Tuttavia l’immersione in acqua e ghiaccio di pesci pienamente coscienti è ancora il metodo più comune utilizzato per abbattere branzini e orate, non solo in Grecia, ma anche negli altri stati dell’Unione europea, Italia compresa, come documentato nella precedente investigazione di Essere Animali svolta all’interno dei principali allevamenti ittici del nostro Paese. Secondo l’ultimo rapporto FAO, nel 2016 la produzione mondiale di pesce ha raggiunto il picco di 171 milioni di tonnellate, di cui 90,9 milioni di catture (73 milioni destinati al consumo umano diretto) e 80 milioni in acquacoltura. Questo significa che l’acquacoltura ha superato la pesca come principale fonte di approvvigionamento di risorse ittiche destinate al consumo umano diretto, rappresentando il 53% della produzione globale di pesce. Tuttavia, la realtà dei pesci allevati a scopo alimentare è ancora ampiamente ignorata. Privati della loro libertà, esposti a fattori di stress e sottoposti a pratiche crudeli, questi animali versano in condizioni critiche negli allevamenti intesivi, complici anche l’assenza di un quadro normativo esaustivo e una noncuranza diffusa nei confronti della loro sofferenza.
Con la diffusione di questa indagine l’organizzazione Essere Animali continua il suo impegno concreto in difesa dei pesci in acquacoltura e rilancia la campagna #AncheiPesci, con la quale si rivolge alla grande distribuzione organizzata affinché i supermercati italiani adottino policy di allevamento più severe per tutelare questi animali all’interno delle loro filiere.
“È importante che si riconosca il valore della vita dei milioni di pesci che si trovano negli allevamenti intensivi, perché anche loro sono creature intelligenti, sensibili e senzienti, proprio come gli animali terrestri. Per questo motivo, con la campagna #AncheiPesci chiediamo alla grande distribuzione organizzata di adottare policy di allevamento che vincolino i propri fornitori a severe a rispettare il benessere e ridurre la sofferenza di questi animali”, conclude l’organizzazione.