Lezioni di sostenibilità da Italo Calvino

Sono giorni in cui le persone scendono in piazza, a Napoli, per manifestare contro le Ecomafie, contro chi ha preso decisioni nelle stanze dei bottoni influenzando la vita di migliaia di persone. Sono giorni in cui non ci bastava solo la munnezza. Ci si mettono anche gli Americani, che ci dicono che la nostra acqua è avvelenata e le grandi testate lo spiattellano in prima pagina per vendere più copie. Quelle stesse copie che molti edicolanti del territorio hanno rispedito al mittente, rifiutandosi di venderle. Tanto clamore, quasi terrorismo psicologico, che gli addetti ai lavori hanno subito smentito. L’acqua di Napoli si può bere, è controllata. Lo ha scritto sul Corriere della Sera Francesca Sant’Agata, responsabile qualità acque ABC / ARIN da oltre dieci anni.
d.orta.marcelloSono giorni in cui le parole di un uomo ti colpiscono più di altre, come quelle di Marcello D’Orta, colui che ci ha regalato “Io speriamo che me la cavo”, che ha perso la sua battaglia contro il cancro. “Quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore, il primo pensiero fu: la monnezza – scriveva in una lettera al Giornale -. È colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi – vizi, consumo pasti da certosino? ”.A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra. I rifiuti si accumulano perché la camorra impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli. Da noi la monnezza ha dimensioni ciclopiche. È stato calcolato che messi in fila, i sacchetti dell’immondizia arrivano da Napoli a Mosca, coprono 17 campi di calcio, riempiono 12 Empire State Building”.

Più vedo scorrere davanti a me gli eventi legati alla Terra dei Fuochi, quei comuni tra Napoli e Caserta definiti così da Raffaele Del Giudice nel lontano 2000, più la collego a un passaggio de “Le città invisibili” di Italo Calvino quando l’autore parla di Leonia:

E’ una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città osserva se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è coperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, una fiasco spaiato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli vestita a nuovo.

 

foto by mimmo iavazzo

Ripenso a queste parole e ripenso a tutto quello che sta succedendo, ma non mi fermo alla Terra dei Fuochi. Il pensiero va ai disastri ambientali come l’Ilva e Fukushima, alla natura che si ribella come è accaduto in Sardegna, alla coltre di smog che circonda la Cina. La Leonia descritta da Calvino è un po’ ovunque e forse non è un caso che faccia parte delle “città continue”. Già allora Calvino affermava che “Le città invisibili” nascono dal cuore delle città invivibli e già allora si parlava con insistenza della distruzione dell’ambiente naturale. L’uomo ne ha approfittato troppo di questo pianeta, che ci restituisce il maltorto appena ne ha l’occasione. Forse dovremmo fermarci, fare un passo indietro. È forse tempo di cambiare rotta iniziando dalla cultura della sostenibilità.

Non a caso Calvino conclude il suo libro così:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’infero e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è infermo, e farlo durare, e dargli spazio.

E voi da che parte state?