Ricerca e innovazione per Eni sulla strada della trasformazione dei rifiuti in risorse. Scopri di più.
Se i biocarburanti che conosciamo oggi sono frutto di colture oleaginose, cerealicole, amidacee e zuccherine, Eni è già pronta con quelli avanzati. La Comunità Europea ha posto l’obiettivo di arrivare al 10% nel 2020 dei carburanti rinnovabili. Ma cosa sono questi carburanti rinnovabili? Innanzitutto uno strumento per diminuire i gas serra, sono infatti biocarburanti, ovvero vettori energetici ricavati da biomasse. Le biomasse sono la parte biodegradabile dei prodotti e dei residui delle attività agricole, zootecniche e forestali, dei rifiuti e dei reflui industriali e urbani.
La UE vuole favorire così l’autonomia energetica e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Come immediato riscontro c’è un segno positivo sul trend del settore dei biocarburanti ricavati per semplificare al massimo dagli “scarti” del 3,9% su base annua, mentre per i carburanti di origine fossile nello stesso periodo si prevede una flessione dell’1,4% all’anno nel periodo 2011-2035.
La ricerca ha prodotto importanti risultati per l’utilizzo di biomasse provenienti da residui agricoli e forestali, le colture ligninocellulosiche dedicate all’uso energetico e la frazione organica dei rifiuti urbani. Non si tratta di un avanzamento da poco visto che questa diversa provenienza delle biomasse evita la competizione con i settori dell’alimentazione umana o animale e limita il cambiamento indiretto della destinazione dei terreni.
Ma come si trasformano le biomasse in vettori energetici? Le tecnologie possono essere due: un processo chimico come la fermentazione e i processi fotosintetici, oppure un processo termochimico come pirolisi o gassificazione.
Eni è riuscita a sviluppare un processo che parte da scarti agricoli di natura ligninocellulosica e li rende zuccheri semplici quali il glucosio e lo xilosio con un processo di saccarificazione. Gli zuccheri così ottenuti sono utilizzati nella fermentazione, impiegando dei microorganismi (lieviti oleaginosi) in grado di produrre rilevanti quantità, fino al 70% del peso delle cellule, di oli microbici. Questi costituiscono una materia prima sostenibile per la produzione di biocarburanti diesel avanzati, utilizzano biomasse di scarto già disponibili sul territorio nazionale e non necessitano di importazioni di oli vegetali che possono essere destinati all’uso alimentare. In questa fase la procedura è in fase di dimostrazione preindustriale, se funziona si potrà procedere.
I rifiuti sono un serio problema ambientale, economico e sociale: in Italia ne produciamo 30 milioni di tonnellate. Aggiungiamo anche che il 30% è costituito dalla parte organica o “umido” dei rifiuti solidi urbani con scarti di cibo, a causa dello spreco alimentare, insieme agli scarti dell’industria alimentare. Oggi abbiamo la discarica, il compostaggio, la digestione anaerobica per produrre biogas (metano) come possibili soluzioni per questa quota consistente di rifiuti che produciamo.
Le normative nazionali e sovranazionali vanno infatti nella direzione del progressivo abbandono del conferimento in discarica e nel ridimensionamento del dispendio energetico con le tecniche di riciclo.
Eni ha sviluppato una tecnologia che trasforma i rifiuti organici in liquido utilizzabile come biocarburante “semplicemente” con un trattamento termico fatto sul rifiuto umido. Ne deriva un bio-olio con proprietà chimico fisiche analoghe a quelle di un olio di origine fossile. Questo bio-olio può essere raffinato e utilizzato.
Questi processi fanno parte tutti del piano di riconversione delle raffinerie tradizionali che Eni sta portando avanti in Italia. (http://www.eni.com/it_IT/innovazione-tecnologia/programma-awp/programma-awp.shtml)
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