Intervista alla viaggiatrice – Giulia in cammino

Ecco una nuova intervista a una viaggiatrice che ha deciso di mollare tutto e partire per una nuova e rigenerante esperienza.  In questi giorni una ragazza di Udine di nome Giulia Pezzano ha percorso in solitaria il “Sentiero del Brigante”, itinerario di 140 chilometri e 7 tappe che risale lungo la linea di crinale l’Aspromonte, la montagna più a sud dello stivale, al centro del Mediterraneo. Il Sentiero del Brigante, del quale è possibile conoscere storia, caratteristiche e particolarità su www.sentierodelbrigante.it è uno dei Cammini d’Italia inclusi nell’Atlante Mibac. Scopriamo attraverso le sue parole cosa significa intraprendere un simile percorso, tra natura selvatica e una sorprendente biodiversità.

L’ìntervista

Com’è nata l’idea di intraprendere questo percorso?

Come la maggior parte delle mie idee (se non altro quelle che a posteriori si rivelano le migliori), è nata come folle concretizzazione della mia costante necessità di fuggire la routine.

Ma per capire bene di cosa parlo è necessaria una certa premessa!

A Udine stavo attraversando un periodo di insofferenza, poiché da qualche mese avevo intrapreso la pratica forense a seguito della mia laurea in giurisprudenza. Finalmente il tanto agognato ingresso nel mondo del lavoro, dopo cinque anni di sudate carte. Ci si firmava Dottore, ci si vestiva in modo consono all’ambiente dello Studio Legale, ci si beava degli sguardi ammirati degli amici e di quelli orgogliosi del parentado tutto, che non perdeva occasione di ringalluzzirsi per il prestigioso traguardo raggiunto dal proprio rampollo. L’alterigia con i clienti, l’ostentata fierezza in Tribunale, la cartella MontBlanc in pelle di canguro inaugurata la mattina dopo la laurea, fra i postumi, l’aperitivo dopo “lo studio”, la sfilata in centro…

Insomma, l’inizio dell’idillio. Per me, l’inizio di un incubo.

Per la prima volta stavo uscendo dal rassicurante terreno neutro dell’Università, in cui puoi girare in tondo e goderti il paesaggio: stavo imboccando una strada. E non la stavo scegliendo io, mi limitavo a seguire il gregge. Questa consapevolezza fu un improvviso pugno alla bocca dello stomaco e iniziò la nausea. L’idea di trascorrere ogni singolo giorno della mia vita a fare le stesse identiche cose nello stesso identico posto con le stesse identiche persone mi paralizzava dal terrore. L’idea di percorrere quella strada per poi realizzare a metà percorso, dopo anni, di non averla mai scelta, ma di averla imboccata per inerzia; di non essermi mai fermata un istante a considerare dove volessi andare, se stacchettare per le belle piazze friulane o per i corridoi del tribunale con una Vuitton in mano, occhieggiando freneticamente un Rolex per fare a gara con i miei simili su chi fosse più pieno di lavoro, fosse davvero ciò che faceva per me. Sguazzando in un mare di angoscia mi resi conto che ovviamente non faceva per me.

Probabilmente non ogni avvocato si identifica in questo mio stereotipo tratteggiato così marcatamente ma certe volte a me serve esagerare per poi trovare meglio una soluzione al problema! E la soluzione è stata un colpo di testa che, mi rendo conto, oggi è un po’ in controtendenza.

Tra lo sgomento generale, mi licenziai. In un mondo in cui chi si ferma è perduto, io mi fermai per ritrovarmi. In questo contesto nacque l’idea del cammino: ho sempre amato la libertà che solo la solitudine nella natura sa donare. I ritmi lenti, in cui ogni passo avanti è un passo dentro se stessi. Mi è sembrato un ottimo modo per trovare risposte alla mia crisi, per iniziare a pensare a chi sono e non ha quello che possiedo o vorrei possedere.

Nello specifico invece, la scelta dell’Aspromonte e del Sentiero del Brigante deriva da un altro peculiare aspetto del mio carattere: l’amore per le sfide. Per chi come me è cresciuto nel profondo Nord, il contesto sociale, naturalistico e culturale che circonda queste montagne è caratterizzato da tanti e tali pregiudizi da rendere l’idea che una ragazza volesse attraversarlo a piedi e da sola un vero e proprio piano suicida. Per me è stata una tentazione irresistibile.

 

Come hanno preso quest’idea amici e parenti?

Come si può intuire da quanto ho appena raccontato, dire che l’hanno presa “non bene” è un eufemismo. Mio padre le ha tentate tutte per dissuadermi: la psicologia inversa, l’aperto osteggiamento, il dissenso informato, l’approccio razionale e accomodante. Le argomentazioni erano: “ma perché proprio in Aspromonte?”, “E’ un posto pieno di latitanti, non c’è acqua, ti rapiscono, c’è gentaglia, sono tutti mafiosi, lo sai cos’è la ‘ndrangheta?”, “Con tutti i bei posti che ci sono in Italia… Perché non te ne vai fra le colline Toscane, per esempio?”.

Gli amici, da cui mi sarei aspettata una maggiore comprensione, in virtù di una visione che, a torto, ritenevo più “open minded”, non sono stati molto più di supporto. Con qualche sparuta eccezione – che non smetterò mai di ringraziare – la reazione più benevola è consistita nella totale incomprensione.

Per chi navigava da marinaio scafato in quel mondo di routine, di ostentazione, di vetrine sociali, di arrivismo inseguendo valori e obbiettivi esistenziali tristemente predisposti, risultava totalmente incomprensibile una scelta del genere. L’incomprensione riguardava principalmente il motivo per cui mi sottoponessi a una tortura fisica come camminare ore e ore al giorno per 140 km, rinunciando a comfort basilari quali lavatrice, vestiti puliti, acqua calda, divani, mezzi di comunicazione etc.

Niente di nuovo per i camminatori incalliti, per chi ama viaggiare camminando, per chi conosce questo tipo di esperienze e di emozioni. Un atto rivoluzionario per chi non ha mai messo un piede fuori dalla vita urbanizzata.

Cosa hai trovato e scoperto in questo cammino?

In parte ho trovato quello che cercavo: una più profonda conoscenza di me stessa e di ciò che mi rende felice. Dico in parte, poiché la vita è una continua ricerca e penso che la totale consapevolezza di chi siamo e di cosa rappresenti per noi la felicità sia una grossa fetta dello scopo della vita stessa.

Ho scoperto fino a che ridicolo punto siano infondati determinati pregiudizi. Nessuno mi ha sequestrata, naturalmente, ma le persone che ho incontrato, a mare e in montagna, hanno fatto quasi a gara per ospitarmi nelle loro case. Non sono morta di sete lungo il cammino ma mi sono spuntate le branchie agli alluci per tutti i ruscelli che ho guadato lungo il percorso. Il peso dello zaino lungo il cammino era dovuto per il 70 per cento a corde di salami, salsicce, formaggi e frutta che anime buone mi donavano al mio passaggio: sia mai che deperissi fra i boschi, dopo aver condiviso con una sconosciuta pasti inimmaginabilmente abbondanti e indescrivibilmente buoni. Storie di vita, sorrisi sinceri.

Ho scoperto il GEA (Gruppo di Escursionisti d’Aspromonte): un’istituzione nel contesto escursionistico calabrese che grazie al lavoro volontario e appassionato di manutenzione e segnalazione del Sentiero del Brigante ha reso possibile a una ragazza sola, con basilari conoscenze tecniche e preparazione fisica, che non aveva mai fatto l’esperienza di un trekking, di aggirarsi fischiettando per i boschi più selvaggi e disorientanti d’Italia. E questa volta non lo dico per esagerare!

Ho scoperto un popolo fiero e orgoglioso che, pur nelle sue splendide contraddizioni, non si arrende a un contesto storicamente difficile (sulle cui cause potremmo aprire digressioni infinite) e lavora instancabile per valorizzare e ridare prestigio a una terra la cui meraviglia ferisce gli occhi.

Ho scoperto una natura selvaggia e mozzafiato, la cui varietà non ha pari: una natura drastica, come la sua gente, estrema e poco incline al compromesso. Una natura di una bellezza ancestrale che entra nel cuore per non uscirne più.

Ho scoperto l’umanità: c’è ancora qualche posto al mondo in cui la persona vale più del denaro, più del tempo. Soprattutto nell’entroterra più remoto. Pare che qui la gente non muoia sola e sconosciuta a bordo strada o su una panchina mentre una fiumana frettolosa e incurante scorre tutt’intorno, cieca.

Quale è stato, dal punto di vista naturalistico, il momento più bello?

So che sembra cliché, ma giuro che mi è davvero difficile rispondere.

Forse uno dei più avventurosi è stato l’attraversamento di un torrente l’ultimo giorno di cammino. Ho dovuto guadarlo in mutande a causa della profondità dell’acqua (era ghiacciata)!

Però non scorderò mai l’intensità di quei trenta secondi in cui io e un capriolo, che avevo sorpreso a bordo pista, ci siamo persi l’uno nello sguardo dell’altro, paralizzati (io dalla meraviglia e lui dal terrore!).

Difficile anche dimenticare l’attimo in cui ho posato finalmente gli occhi sulle cascate del Marmarico, con i loro cento e più metri le più alte della Calabria, dopo averne ascoltato la furia per chilometri.

In che modo questo tuo cammino ha a che fare con la decrescita felice?

Innanzitutto, da un punto di vista meramente logistico ritengo che il mio cammino rappresenti perfettamente l’idea di turismo pienamente sostenibile, una delle mille sfaccettature del tanto auspicabile quanto bistrattato concetto di “decrescita felice”. Il Sentiero del Brigante consiste in un itinerario di ben 140 km attraverso l’Aspromonte vero e selvaggio, a stretto contatto con una natura ritenuta a lungo impenetrabile, percorribile a piedi, in bici o a cavallo. Accarezza piccoli e operosi paesini montani, appoggiandosi all’ospitalità locale che assume forme diverse (case, rifugi, bed and breakfast, motel o dormitori), valorizzando le economie locali e promuovendo il territorio.

Dal punto di vista più importante, quello emotivo, credo questa esperienza non sia altro che un atomo di decrescita felice.

Io provengo da un contesto sociale e familiare dove materialmente non manca assolutamente nulla, se non lo spazio per contenere quello che c’è. Nel mondo del Dio consumo che fa a gara per instillarci desideri rapaci, compulsivi ed estemporanei, collegandone il soddisfacimento alla felicità, io, come tanti, non ero felice. Vivevo in uno stato di nausea esistenziale, senza capirne il motivo. C’è chi ignora queste sensazioni e va avanti, ma io non ci riuscivo.

Mi sono avventurata in un’esperienza in cui tutto il necessario è compresso in massimo 15 chili, da caricare sulle spalle. Ciò che non entra è superfluo. Questo cammino insegna (e l’esperienza è la maestra più efficace) che tutto ciò che acquisiamo lungo il cammino della nostra vita è una catena che ci tira irrimediabilmente verso il basso, vincolandoci al suolo e rendendo ogni passo più faticoso, ogni salita più impervia, ogni discesa più infida e pericolosa. Insegna che è più importante essere che avere, vivere che possedere.

La smania di possesso ci ha ingabbiati: la felicità è rimasta in un angolo, dimenticata, nelle cose semplici, nei ritmi umani della natura, in una vita magari più faticosa in quanto priva di comfort ma immensamente più vera.

Per la prima volta da quando ero bambina, mentre lavavo nel fiume i miei quattro stracci ammirando uno dei più conturbanti tramonti della mia vita, io ero profondamente, inequivocabilmente, incommensurabilmente felice.

In vari giorni di cammino, pur cenando in delle strutture, avrò contribuito pochissimo al PIL. Sicuramente, però, ho regalato una settimana di emozioni a me e a tutti quelli che mi hanno seguito on line grazie ai resoconti quotidiani sui social di Nicola Casile, guida appassionata, la prima persona che ho contattato appena giunta in Calabria.

Hai in mente di intraprendere altri cammini simili?

Certamente! Quella del cammino è un’esperienza unica, indescrivibile se non la si prova, di cui non potrò più fare a meno. Il benessere e la felicità insiti in questo stile di vita sono una droga, una sorta di bombola di ossigeno in un’esistenza soffocante come la nostra. Confesso che cullo tra me e me il sogno di trasformare questo stile di vita in un lavoro, riuscendo a ricavarne il necessario per vivere, magari come guida escursionistica… ma è un sogno più che un vero e proprio progetto, allo stato attuale.

Per il momento mi limito a consigliare a tutti coloro che stanno leggendo queste righe di intraprendere almeno una volta un’esperienza simile: se ce l’ho fatta io ce la può fare chiunque! Saltiamo nel vuoto, cancelliamo gli schemi, usciamo dalla routine. Rallentiamo, torniamo alle origini. Torniamo umani!

So che non tutti possono fare ciò che ho fatto io a 27 anni: mollare tutto e seguire il mio cuore. Ma so a anche che è necessario, se non indispensabile, ascoltarlo almeno un po’, il cuore.

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Le foto di Giulia