Verso la protezione internazionale dell’ambiente. Ecocidio: una nuova definizione legale per criminalizzare i reati ambientali più efferati

di Dani Spizzichino

Ecocidio: termine divisivo ma necessario, divisivo perché evoca eventi tragici del passato recente in Occidente e non solo, ma necessario perché viene proposto in un momento storico di serio pericolo per la sopravvivenza del pianeta terra e dei suoi ecosistemi. Il termine “Ecocidio” potrebbe sembrare eccessivo. Torna subito alla mente “Genocidio”, che definisce in particolare il tentativo di sterminio di una popolazione su basi etniche. Ma il suffisso -cidio è parte anche di parole come eccidio ed omicidio. Così, per indicare gravi crimini ai danni dell’ambiente, l’utilizzo del termine in questione può sembrare appropriato. L’ecocidio dovrebbe infatti diventare parte dello Statuto di Roma come quinto crimine contro l’umanità con questa definizione, stilata nel giugno 2021 dalla Stop Ecocide International (SEI): “ ‘Ecocidio’ significa atti illegali o arbitrari commessi nella consapevolezza di una sostanziale probabilità di causare un danno grave e diffuso o duraturo all’ambiente con tali atti”. Il reato di ecocidio si andrebbe quindi ad aggiungere agli altri quattro crimini internazionali sui quali la Corte Penale Internazionale (CPI) ha competenza in base all’Articolo 5 dello Statuto di Roma: crimine di genocidio, crimini contro l’umanità, di guerra e di aggressione.

A riprova dell’utilità di questo termine vi è anche l’urgenza di proteggere i gruppi indigeni. La stessa esistenza di questi gruppi viene messa a repentaglio dai numerosi disastri ambientali che colpiscono le zone dove vivono da centinaia e migliaia di anni. Si estinguono lentamente. Nella migliore delle ipotesi, sono costretti a migrare verso zone più sicure, perdendo così gran parte delle proprie radici culturali, inevitabilmente legate alle aree naturali circostanti. Non solo per la gravità dei danni ambientali che il crimine di ecocidio andrebbe a colpire, ma anche per il rischio di estinzione di gruppi indigeni, il termine sembrerebbe più che accurato, benché abbia sollevato critiche legittime da parte di esperti di legge penale internazionale.

La forza di questa definizione sta però nella sua universalità ed ampia applicabilità: universale perché permette la procedibilità internazionale di gravi crimini ambientali (‘atrocity scale’); applicabile ovunque perché, entrando a far parte dello Statuto di Roma, diventerebbe automaticamente attuabile nelle giurisdizioni di tutti gli stati membri della Corte. Per quanto riguarda le nazioni non firmatarie, tra cui figurano attori importanti del panorama globale come Stati Uniti, Russia, Cina ed India, potrebbero valere diversi ragionamenti. Tra questi si può annoverare la giurisdizione universale, la quale permette la procedibilità di gravi violazioni, ad esempio ambientali e dei diritti umani, in stati diversi da quelli dove è avvenuto il crimine stesso. Tale tipologia di giurisdizione è infatti già presente in forme diverse in stati quali USA e Paesi Bassi. Per essere più chiari, un casus belli (Kiobel) è quello di una multinazionale olandese (Shell) che, responsabile di gravi crimini ambientali e dei diritti umani in un paese terzo (Nigeria), viene chiamata in giudizio nei Paesi Bassi da coloro che hanno subito gli effetti della devastazione causata da parte dei suoi impianti petroliferi.

L’introduzione del crimine dieEcocidio all’interno delle legislazioni nazionali renderebbe la procedibilità di questi crimini più veloce ed efficace. Meglio ancora se a renderla vincolante fosse un sistema regionale con poteri sovranazionali coattivi come l’Unione Europea. Fortunatamente il Parlamento Europeo si è già espresso a sostegno dell’introduzione del crimine di ecocidio nello Statuto di Roma, sostegno ribadito anche dai parlamenti nazionali di importanti stati europei come Belgio, Francia, Finlandia e Svezia, mentre ci sono movimenti più o meno attivi anche in Spagna, Portogallo, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Danimarca. Lo stesso si può dire anche di altre regioni flagellate da rilevanti problematiche legate all’ambiente, come l’America Latina. Il Cile è tra i più vivi sostenitori della campagna. Ecuador e Bolivia annoverano i diritti della natura nelle proprie legislazioni, la Colombia nella propria costituzione.

In molti dei sopracitati paesi europei i partiti verdi hanno riscosso consenso da molti anni, in molti casi ottenendo rappresentanze parlamentari e facendosi promotori di iniziative progressiste a difesa degli equilibri ambientali dei propri territori. L’Italia, agli inizi del sostegno alla campagna sulla criminalizzazione dell’ecocidio, ha un’occasione storica per fare rete e schierarsi a supporto di associazioni impegnate nella lotta al cambiamento climatico. Ai più attenti non sfuggirà che di campagne di sensibilizzazione sull’ambiente ce ne sono state molte, e molti appelli sono spesso caduti nel vuoto. Questa volta però, qualcosa di diverso c’è. Sulle orme dell’attività pioneristica di questa avveniristica concezione legale, la compianta avvocatessa britannica Polly Higgins, un gruppo di eminenti esperti di legge internazionale ha stilato una definizione di ecocidio che ha ricevuto un supporto senza precedenti, non solo di numerosi attori pubblici, ma, per la prima volta, anche di enti privati di spicco, come la International Corporate Governance Network.

La grande industria si è schierata a favore, tanto che Ralph Chami, al Fondo Monetario Internazionale per più di 23 anni e co-fondatore di Rebalance Earth, è intervenuto sull’argomento alla COP26, durante il dibattito “Ecocide law & financing the future” organizzato da SEI in data 4 novembre 2021. Oltre all’appoggio degli stati, quello del mondo delle multinazionali e della finanza potrebbe risultare decisivo. Ad esempio, allo stato attuale, la giurisdizione della CPI ha effetto soltanto su stati ed individui (persone fisiche), ma non nei confronti di enti (persone giuridiche). La necessità di una legge internazionale che criminalizzi il reato di ecocidio è ulteriormente confermata dagli ultimi dati forniti da Interpol e UNEP, l’agenzia sull’ambiente delle Nazioni Unite: il crimine ambientale è il quarto più diffuso al mondo dopo traffico di droga, traffico di esseri umani e contraffazione.

Il momento è maturo, i cambiamenti climatici in atto, e a ritmi molto rapidi. La legge sull’ecocidio è un game changer, un potente strumento di moral suasion, preventivo oltre che punitivo. Mira prima a cambiare l’atteggiamento della società nei confronti dell’ambiente e, successivamente, a punire azioni sconsiderate ai danni dello stesso. Come ricordato da Jojo Mehta, co-fondatrice, direttrice esecutiva e portavoce di SEI, la definizione risponde ad “un bisogno reale ed urgente del mondo”, ossia quello di fornire una legge che possa essere seriamente considerata dai governi nazionali e dalla CPI. La proposta di emendamento dello Statuto di Roma dovrebbe essere votata da una maggioranza semplice, e, una volta discusse eventuali modifiche al testo, approvata dai due terzi degli Stati Membri dell’Assemblea, 82 su 123. Approvata la proposta, gli Stati ratificano, la giurisdizione della Corte si estende al crimine stesso, e la Procura può così perseguire i reati di ecocidio.

Restano dilemmi strettamente legalistici legati alla definizione su cui il Comitato di esperti in questione ha lavorato dal giugno 2021. Teniamo anche a mente i lavori precedenti di figure importanti come Richard Falk e Polly Higgins. Termini come “illegali” e “arbitrari” legati alle condotte incriminate hanno bisogno di ulteriori chiarimenti, ma questo, come altre questioni tecniche, saranno oggetto del lavoro di SEI, oltre che di accademici, studiosi, attivisti e cittadini che parteciperanno in tutti gli stati del mondo alla divulgazione della campagna, affinché aumenti la pressione sugli stati ed il crimine di ecocidio non rimanga un concetto simbolico.