LA MODA OUTDOOR INCONTRA LA SOSTENIBILITA’

di Luisa Prina Cerai

Si è svolto il 12 ottobre sera a Milano, nello store di THE NORTH FACE di via Orefici, un talk dedicato al sistema della moda nel settore outdoor e a come si interseca oggi con la circolarità.

Una tavola rotonda che ha messo in luce punti di vista diversi di chi opera nel settore, a partire dal Senior Sustainability Manager di THE NORTH FACE, Julian Lings, che ha delineato il percorso che questa storica azienda ha fatto dagli anni 70′ e sta compiendo oggi verso la sostenibilità come la ricerca di nuove soluzioni meno impattanti nei processi e l’uso di materiali riciclati nei propri capi o i servizi di riparazione e riuso all’interno dei suoi negozi. Oggi è cambiato drasticamente il clima e l’abbigliamento outdoor è chiamato a nuove sfide perchè i capi siano durevoli e sostenibili mantenendo alte perfomance.

La giornalista Ilaria Chiavacci ha fatto un excursus su come è nato il concetto di moda sostenibile negli anni fino alla data simbolica e spartiacque del crollo del Rana Plaza del 2013, che ha scoperchiato i temi della tracciabilità nella filiera e le condizioni di lavoro degli operai. Il concetto di sovrapproduzione si è evoluto in un costante delivery di prodotto tale che ad oggi il Parlamento Europeo ha stimato che ogni cittadino dell’Unione acquista 26kg di tessili all’anno per un totale di emissioni di carbonio pari a 654kg.

Ha poi spiegato gli obiettivi della Comunità Economica che puntano alla riduzione di vari impatti del settore moda entro il 2030, soddisfando nuovi requisiti riguardo alle fibre riciclate, al design, all’ end of life dei prodotti tessili, alla durabilità e all’efficientamento dei processi produttivi.

La creativa Silvia Stella Osella ha raccontato la sua esperienza nelle grandi aziende di moda e la scelta di distaccarsi da quel mondo per lavorare da sola ma secondo valori etici, dopo che ha assistito nel 2009-2010 alla grande espansione delle imprese del sistema moda e agli sprechi che generavano.

Allora si buttavano i deadstock aziendali, chilometri di pezze per piccoli difetti che poi andavano in discarica e non c’era sensibilità verso il tema della circolarità.

La stessa considerazione che ha portato Matteo Aghemo a creare tre anni fa Must Had, una start up che si occupa di accompagnare le aziende verso percorsi di economia circolare, insegnandogli come gestire i loro resi e le giacenze, ma anche le campionature e i capi difettati. Lo stesso nome Must Had è l’evoluzione del concetto di “dover avere” ma al passato, per fare capire che bisogna guardare ai capi che abbiamo già prodotto e che ognuno di noi possiede già nell’armadio.

Sicuramente in questi ultimi anni con il fast fashion è proprio cambiato il concetto di “valore percepito” del singolo capo di abbigliamento, svalutando il lavoro ed i costi che ci sono dietro. Per questo, come è emerso dalle parole dei relatori, è necessario sempre di più partire dall’educare il consumatore all’acquisto consapevole, a leggere le etichette in modo corretto e a dare informazioni chiare e facilmente riconoscibili.

Un talk che ha evidenziato la lenta strada verso gli obbiettivi europei al 2030, la necessità di fare rete da parte di tutti gli stakeholders coinvolti ma anche un maggiore interesse del consumatore finale verso la sostenibilità e una maggior consapevolezza verso ciò che acquista.