Filiera corta e autoproduzione: la ricetta contro lo spreco alimentare di Maurizio Pallante

Questa intervista nasce all’interno del progetto “L’antispreco è servito. Ricette teoriche e pratiche contro lo spreco alimentare“. Che siate crescenti o decrescenti (ma vi auguro felici a prescindere) qui poco importa. Ho pensato che invece fosse importante condividere con voi quello che Maurizio Pallante del Movimento per la Decrescita Felice mi ha detto, perché possa essere anche solo uno spunto di riflessione per qualcuno, se non addirittura una miccia per piccoli grandi cambiamenti.

La corsa è finita, volenti o nolenti prepariamoci a scendere. Il modello della crescita è ufficialmente in crisi, del PIL dobbiamo fregarcene, la politica – nella migliore delle ipotesi – è incapace di indicare la strada giusta. E allora, dove andare? Avanti, ma re-inventando vecchie e nuove vie, che ci portino a un ritorno alla natura, alla sovranità alimentare, a relazioni umane fondate sulla collaborazione e sulla solidarietà, a stili di vita alti ma allo stesso tempo responsabili e rispettosi dell’ambiente e delle sue risorse. Cibo compreso. È questa la ricetta proposta dal Movimento per la Decrescita Felice, una ricetta che sa di rivoluzione economica, ecologica, sociale e culturale, che impone di rivedere alcuni paradigmi dati finora per scontati. Una rivoluzione dolce, comunque, di cui ci parla Maurizio Pallante, fondatore e presidente del Movimento per la Decrescita Felice, concentrandosi sul problema dello spreco alimentare, tra paradossi, rimedi e progetti di monasteri del terzo millennio dove abitare il futuro. E magari, perché no?, anche il presente.

Gli italiani (e non solo loro), nonostante la crisi, continuano a sprecare tra le mura domestiche cibo perfettamente edibile. Quali sono le cause, le conseguenze e gli impatti di questo malcostume così comune tra i Paesi industrializzati?
Da una parte ci sono stili di vita irresponsabili, manca la consapevolezza del legame tra cibo e stagioni, non viene data sufficiente attenzione a quanto costa il cibo, produrlo, distribuirlo. Per cui si spreca tanto, con impatti ambientali altissimi dovuti anche all’aumento dei rifiuti, con tutto quello che comporta. Dall’altra parte, chi vende il cibo ha interesse a che se ne venda e se ne sprechi sempre di più. L’agricoltura poi, tra l’uso di concimi chimici e di monoculture che riducono la fertilità dei terreni, si è trasformata in una vera e propria ‘industria estrattiva’ pensata per produrre il massimo dalla terra, per vendere e guadagnare sempre più.

A che livello della filiera agroalimentare bisognerebbe intervenire in modo incisivo per limitare gli sprechi?
Dipende dal potere che uno ha di intervenire. Alcuni aspetti attengono a scelte di carattere politico. Come Movimento per la Decrescita Felice noi possiamo influenzare l’ultimo anello della filiera – i consumatori – attraverso la promozione dell’autoproduzione, la messa in pratica di atti di collaborazione che superano la competitività. Il nostro obiettivo è quello di cambiare gli stili di vita e di comportamento delle persone, cercando di dare loro una risposta positiva: la riduzione delle spese alimentari secondo noi deve derivare dall’autoproduzione, non certo dalla rinuncia al cibo.
L’idea è passare da un’agricoltura interpretata come ‘industria estrattiva’ di risorse alla riscoperta della piccola produzione contadina, con la vendita delle eccedenze, in un’ottica di filiera corta come massima espressione della sovranità alimentare a livello territoriale. Questo favorisce la maturazione della consapevolezza e della responsabilità verso il cibo, la crescita del rispetto nei confronti della terra e del lavoro.

La politica appare inefficace nel contrastare lo spreco e, in generale, nel sostenere una riconversione sostenibile dell’economia. Perché? Da dove cominciare per invertire la rotta?
Meglio stendere un pietoso velo su questo aspetto: non c’è sensibilità sul tema da parte della politica. Ma per fortuna più attenzione arriva da associazioni di categoria e dalla società civile, che sta sviluppando efficaci anticorpi, scegliendo di partecipare a GAS (Gruppi di Acquisto Solidali), ad associazioni come la nostra.
Molto importante anche il lavoro che fanno progetti come Last Minute Market, anche se sono una medicina rispetto a una situazione di malattia che non possono curare. Intendiamoci, sono molto utili da un punto di vista dimostrativo, ma il problema è che occorrerebbe cambiare nel profondo la struttura del modello agricolo, della distribuzione e dei consumi. Solo così si potrebbe guarire il malato. Certo, eliminare le cause è complicato, perché richiederebbe mettere in discussione l’intero sistema di funzionamento delle economie delle società avanzate. Con tutti i paradossi connessi: l’agricoltura non dovrebbe sprecare risorse, ma una riduzione dello spreco comporta di conseguenza una riduzione del PIL, mentre l’imperativo delle società avanzate è quello di farlo crescere. E dunque, come se ne esce?

Già, come se ne esce? Quali sono le soluzioni proposte dal vostro Movimento?
I nostri consigli sono quelli di puntare all’autoproduzione e alla filiera corta, facendo magari un piccolo orto, anche sul balcone, di partecipare ai GAS. Tra i nostri progetti ce n’è uno che si chiama Università del Saper Fare, pensato proprio per reimparare forme di autoproduzione legate all’agricoltura e al recupero della socializzazione.
E poi sicuramente c’è il progetto dell’Agrivillaggio di Vicofertile, in provincia di Parma: un vero e proprio monastero del terzo millennio che vede protagonista un grande produttore agricolo che sta trasformando una parte della sua azienda in un insediamento per 60 famiglie, con obiettivi di autosufficienza alimentare e energetica, un’impronta ecologica 1 e un‘alta qualità della vita. L’alta qualità della vita è molto importante, perché decrescita non è patimento: la comunità si nutrirà con ottimo cibo di prossimità, autoprodotto, che non sprecherà.

E lei, ha un suo consiglio personale da condividere, per chi non può fare le valigie e trasferirsi in un monastero del terzo millennio?
Io per esempio non entro in un supermercato da 5 anni. Non ci vado perché in quei luoghi si compra di più, si è catturati dalle offerte, il 3×2, e si finisce poi per sprecare cibo che in verità non ci serviva. Sono il tempio dell’esaltazione dell’acquisto, mentre invece bisogna cercare di ridurre l’assolutezza della mercificazione. Sarebbe utile pensare che non siamo più nel dopoguerra in una situazione di sovrabbondanza e che se mangiassimo un po’ meno non ci farebbe certo male. I vecchi lo dicevano: occorre alzarsi da tavola sempre con un po’ di fame, mai totalmente sazi.