Partiamo dalla definizione: cosa è la biodiversità?
A rispondere a questa domanda ci viene in soccorso il sito della Treccani, che dice:
“La biodiversità comprende la variabilità genetica tra individui, la diversità tra le popolazioni e tra le specie, la diversità dei paesaggi, degli ecosistemi, dei biomi. A ogni livello di scala si possono identificare le tre componenti della variabilità. Per esempio, alla scala del paesaggio, la variabilità nella composizione può essere misurata analizzando la distribuzione di diversi tipi di habitat, quella nella struttura misurandone la frammentazione, quella nella funzione valutando il flusso di energia e nutrienti.”
L’Italia è ricca di biodiversità, ma negli ultimi 50 anni la varietà locale di molti frutti e cereali è progressivamente diminuita, e sono rimaste poche varietà che da sole coprono la maggioranza totale della produzione.
Secondo alcuni è stimato che nel corso degli ultimi 50 anni siano andate perdute circa il 90% delle vecchie qualità di grano. Questo cosa significa, significa che la varietà diminuisce e con essa la biodiversità, in funzione ad esempio di un catalogo varietale nazionale, in cui devono essere iscritte le varietà per far commercializzare il seme.
Ecco quindi che la legislazione ha piano piano imposto standard ai semi, che hanno poi portato nel 2000 alla scomparsa di centinaia di varietà dai cataloghi delle ditte sementiere, e così le varietà tradizionali sono progressivamente scomparse. Questo però soprattutto laddove l’agricoltura ha incontrato industrializzazione, perché invece nei piccoli terreni troviamo anche oggi in piccoli orti e giardini mentre sono scomparsi dai vivai, dove l’offerta varietale per gli agricoltori è ridotta.
Preservare la biodiversità agricola dev’essere una priorità, per tutti. Anche noi nel nostro piccolo possiamo aiutarla con scelte e acquisti consapevoli e maggiore informazione.
Sinceramente più che preservare da parte di qualche ente le varietà in disuso non vedo alternative: sono leggi di mercato, se una coltura non è più competitiva la si abbandona, è sempre successo e oggi accade ancora più in fretta per i nuovi scenari economici creatisi. Chi coltiverebbe una varietà poco conveniente? Poi c’è il problema dell’abbandono rurale: nel mio Cilento (zone interne) le terre ormai sono incolte e non trovo più delle squisite pere morbide morbide che mangiavo tempo fa. Il problema esiste anche per gli animali da allevamento (e non da ora, ci sono razze bovine già estinte da più di un secolo). Mi preoccupa molto di più la perdita della biodiversità intesa nel senso di perdita di specie dovuta all’antropizzazione (la sesta estinzione di massa).