Non sono abituata a scrivere articoli e vi chiedo di non considerarlo tale, ma semplicemente il racconto di un’esperienza fatta da un’educatrice che collabora con la redazione di econote prevalentemente attraverso le sue illustrazioni. Ritengo doveroso chiarire questo aspetto perché mi sono resa conto che mi é difficile mantenere un approccio distaccato e professionale che ci si aspetterebbe da chi scrive abitualmente per mestiere o quasi.
Ecco la mia esperienza:
Sono campana, cresciuta in uno dei territori contaminati dalla camorra a da alcuni imprenditori del centro-nord Italia, zona ormai famosa come “Terra dei Fuochi”. Ho studiato e lavorato nel settore artistico fino a circa sei anni fa, quando mi sono trasferita a Berlino. Ora lavoro come educatrice in una scuola dell’infanzia e contemporaneamente frequento un corso di formazione per diventarlo ufficialmente.
Nel mio percorso formativo erano previsti 5 giorni di tirocinio presso una o più strutture formative che avrei potuto scegliere liberamente. Sarei potuta andare ad Amsterdam come alcuni compagni di corso o in un’altra città europea dato che qui da Berlino è molto facile raggiungere gli altri Paesi del nord Europa ma, casualmente, nel periodo in cui riflettevo sulle scuole da visitare mi è capitato di leggere un articolo su internet riguardante una dirigente scolastica napoletana di nome Maria De Biase. L’articolo raccontava del motivo per cui insieme ad altri europei è stata premiata a Bruxelles come “miglior cittadina del 2014”.
Non è stato difficile organizzarmi, un paio di telefonate, e-mail e il mese scorso sono arrivata a San Giovanni a Piro in Cilento, per trascorrere il mio tirocinio in uno degli istituti comprensivi diretti da lei: il Teodoro Gaza. Il suo approccio pedagogico è stato premiato perché fa leva sull’ecosostenibilità, la quale comprende: riduzione dei rifiuti, lotta allo spreco, educazione alimentare e produzione di sapone naturale attraverso l’uso dell’olio esausto. Tutto ciò accade in una delle tante zone del Meridione in cui da decenni ormai si verifica uno svuotamento progressivo del territorio dovuto all’esigenza lavorativa.
Le aree lasciate incontaminate, esposte al sole e al mare, seppur tortuose geograficamente, vantano la quasi totale assenza della speculazione edilizia e soprattutto hanno permesso che le persone rimaste (e talvolta tornate), potessero ancora dedicarsi alle tradizioni contadine locali. Durante il mio soggiorno mi è stato raccontato che tutte le famiglie, le maestre, il personale scolastico possiedono un po’ di terra, alberi e orti più o meno grandi, quindi per i bambini di queste comunità è assolutamente normale possedere un orto o un frutteto e partecipare attivamente ai rituali legati alla campagna come la raccolta delle olive o delle castagne al punto da ritenere strano il fatto che altrove ci sia gente priva di un pezzetto di terra da coltivare.
L’approccio pedagogico incoraggiato dalla preside De Biase ha ricevuto un’eco considerevole dai media proprio perché fa sì che queste piccole comunità, attraverso la mediazione degli alunni, possano vivere con maggiore consapevolezza e fierezza le loro origini al fine di mantenere sempre vivo il rispetto della propria terra.
Tutti i pedagogisti sanno che solo la pratica quotidiana può rendere efficace ogni approccio pedagogico, e ciò sta accadendo anche qui, anzi addirittura è sconfinato dalle mura e dai cortili delle scuole coinvolgendo gli altri abitanti della zona. La scelta dell’abolizione delle merende confezionate, sostituendole con prodotti locali tra cui gli stessi ortaggi e frutti coltivati dai bambini insieme ai docenti, genitori e volontari; la preparazione del sapone biologico fatto con l’olio esausto portato da casa dai bambini stessi, secondo una ricetta tradizionale insegnata da un’anziana donna del paese; la presenza di un compost in ogni sede scolastica; i mercatini a scopo benefico, costituiscono la fonte di una piccola rivoluzione locale un po’ fuori dai canoni dato che la scelta più rilevante é stata quella di attingere alle abitudini quotidiane passate. A queste abitudini si è aggiunto l’uso dei pc e delle lavagne interattive durante le lezioni in classe. Tali abitudini, quindi, lasciano dedurre che la linea seguita non sia spinta da un nostalgico sentimento rivolto ai tempi andati, ma è una scelta consapevole che vuole unire al meglio elementi positivi del passato e del presente al fine di migliorare il futuro. Difatti, il motto della Preside è “Con la zappa in una mano e il tablet nell’altra”.
Inoltre, l’abolizione delle merende confezionate oltre ad apportare un significativo segnale sull’educazione alimentare, ha riproposto l’antico valore della condivisione del cibo, aspetto culturale tipico del meridione italiano. Ricordo al tal proposito che il Cilento insieme ad altre località del mediterraneo, è il luogo in cui è nata la Dieta Mediterranea, considerata Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Cosa ho visto durante il mio soggiorno:
I bambini vanno a scuola in macchina con i genitori, altri con l’autobus ed entrano in classe indossando grembiuli e con gli zaini in spalla come accade in quasi tutte le scuole italiane. Le classi sono simili a quelle che hanno caratterizzato i miei ricordi d’infanzia, ma la cartellonistica, le fotografie appese alle pareti suggeriscono qualcosa che forse non é presente in tutte le scuole.
Alle 10 e 30 tutte le classi si riuniscono per l’eco-merenda. La caratteristica di questa pratica consiste nel mangiare insieme prodotti o coltivati da loro stessi o comprati da piccoli produttori locali come ad esempio pane e olio d’oliva o dolci e marmellate preparati a turno dalle famiglie. Il buon senso comune ci induce a pensare che sia una pratica giusta sia dal punto di vista dell’educazione alimentare che sociale. Ma paradossalmente è contro le norme igieniche europee le quali prevedono che i prodotti distribuiti nelle mense scolastiche debbano essere rintracciabili e con data di scadenza visibile. Eppure la Dirigente è stata premiata a Bruxelles anche per questo!
Oltre all’abitudine quotidiana dell’eco-merenda, ad ogni inizio di anno scolastico, i bambini piantano ortaggi insieme alle maestre, i collaboratori scolastici, alcuni genitori e nonni nei cortili delle scuole. La coltivazione viene regolarmente curata sempre con l’aiuto degli adulti e gli ortaggi, una volta maturi, vengono mangiati insieme durante l’eco-merenda. Ho avuto modo di assistere a tale attività e ho notato un clima di aggregazione in cui erano presenti genitori e altri abitanti che aiutavano a seconda delle loro competenze, conoscenze e tempo libero da offrire, clima che personalmente pensavo ormai perduto!
La preside stessa mi ha raccontato poi che non è stato facile apportare tale cambiamento, alcuni in principio hanno mostrato delle reticenze, ma poi piano piano queste attività sono diventate abitudine.
Ho assistito alla preparazione del sapone secondo due ricette differenti, una delle quali trasmessa dalla signora Gaetana di San Giovanni a Piro che offre regolarmente il suo tempo insegnando ai bambini come veniva fatto il sapone ai suoi tempi, una donna energica, solida, con le mani forti e gli occhi dolci.
Ho ascoltato inoltre la storia di due spaventapasseri che si sono innamorati e che custodiscono l’orto della scuola di Scario. I due spaventapasseri ora hanno due figlie e a volte i bambini lasciano delle caramelle nella borsa della mamma spaventapasseri prima di salutare i loro genitori e andare in classe.
Ho conosciuto insegnanti piene di energia, donne prevalentemente di origine contadina che hanno unito alla loro formazione antiche abitudini ecosostenibili apprese durante l’infanzia. Dal mio punto di vista, tali pratiche hanno la stessa valenza, se non maggiore delle nozioni previste dal programma ministeriale.
Concludo questo racconto provando a riportare la vostra attenzione su alcuni aspetti che ritengo importanti:
il nostro Paese ha influenzato il mondo intero con le sue eccellenze nel settore pedagogico; il Metodo di Maria Montessori e di Reggio ad esempio, nel nord Europa sono considerate eccellenze italiane nel campo della pedagogia e molte scuole si ispirano a tali approcci. La Germania, ad esempio investe molto nella formazione e pur avendo delle caratteristiche che personalmente non condivido, come la suddivisione degli allievi in base alle capacità cognitive e alla resa scolastica, bisogna riconoscere che in un modo o nell’altro le istituzioni mostrano un interesse concreto alla formazione sin dai primi anni di vita.
Il Programma Educativo (BBP) previsto nel Land di Berlino, prevede molti degli elementi presi dall’approccio reggiano e montessoriano e dà molta importanza all’educazione ambientale. Essendo italiana ed essendomi trasferita qui già da adulta, non ho potuto fare a meno di notare quanto sia avanti l’approccio pedagogico berlinese rispetto a quello attuato sovente nel mio Paese, Ciò nonostante, grazie all’approccio introdotto da Maria De Biase, ma sicuramente anche da molti altri pedagogisti che non ho avuto modo di incontrare, ho potuto constatare che nonostante l’indifferenza delle istituzioni italiane è possibile fare una buona scuola coinvolgendo la comunità e spronandola a riportare a galla l’interesse verso l’ecosostenibilità, l’alimentazione sana e il senso della collettività. Potrebbero essere proprio queste le basi utili per creare una vera rivoluzione culturale in un Paese in piena crisi sia morale che economica?
Valentina De Luca
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